La non conoscenza della natura in Italia è un fatto culturale. Spesso nel parlare di ambiente non si tiene conto di ciò che sta alla base del concetto di ambiente, cioè la biodiversità. E’ come se un medico parlando di una malattia del corpo umano non considerasse che prima di occuparsi di patologia occorre conoscere l’anatomia e la fisiologia del corpo stesso.
Così si assiste a presentazione di progetti che si fregiano della denominazione di ambientali ma che a guardarli bene possono solo far danni all’ambiente e alla biodiversità. I soliti progetti di “riforestazione” possono apparire alla gente come “iniziative ambientali” ma ad un esame attento nella storia dell’ambientalismo sono più i danni che con tali progetti sono stati realizzati che non i reali benefici. 
In base al concetto di “riforestazione” i guasti peggiori sono quelli provocati agli habitat.
Per esempio l’impianto di Eucalipti in Estrema dura in Spagna ha provocato notevoli danni a quell’ambiente tipico della penisola iberica denominato “macchia aperta mediterranea”o, per stare in casa nostra, l’impianto di Pini neri e Abeti rossi sulle colline italiche ha stravolto in molte zone la vegetazione originaria di querco carpineto.
Tutte operazioni, in teoria di ispirazione ecologista, ma che in realtà sono servite a fare qualcosa che appariva al grande pubblico come “ambientale” ma che hanno provocato solo danni ecologici e spreco di risorse economiche. Si pensi anche alle cosiddette riforestazioni lungo le aste fluviali che servirebbero in teoria per fini di “rinaturalizzazione”, ma che di fatto sono puri sprechi di denaro in quanto il fiume è un organo naturale a forte capacità autorigenerativa e non ha assolutamente bisogno per il suo equilibrio naturale, di rimboschimenti portati dall’uomo ma piuttosto di rispetto per le proprie aree golenali di espansione delle acque.
Le isole, in particolare le isole comprese nei parchi, sono ecosistemi delicati e preziosi che come tali andrebbero considerati e non come sedi di esperimenti. In un’ area dove è passato un incendio si insediano le specie pioniere e la natura fa il suo corso, passo dopo passo ricominciando ad esempio, con l’insediamento di cisto. Se si vuole accelerare il processo di ricostruzione dei boschi di Lecci occorre elaborare un progetto tecnico con il supporto dei migliori organismi scientifici  universitari e non solo e comunque procedendo con i piedi di piombo con gli esperimenti.
Ma allora c’è da chiedersi: che “ci’azzecca” l’introduzione di pini, cipressi e Pitosforo oltre che di specie non presenti al Giglio?
Le scarse risorse disponibili per i parchi poi andrebbero spese per iniziative realmente a favore della conservazione della natura e della divulgazione naturalistica.
Meno male che al Giglio vi sono persone come Marina Aldi che conosce e ama il proprio territorio e giustamente lo vuole difendere.

Francesco Mezzatesta
(Responsabile Conservazione della natura , biodiversità e aree protette - Federazione dei Verdi)