Ho trascorso anche quest’anno una breve vacanza all’Isola del Giglio. E’ una vecchia consuetudine: fin da quando avevo tre anni, ogni estate, la mia famiglia vi soggiornava per circa un mese. Una sorella di mia nonna infatti ha sposato un gigliese. Sono stato fortunato. Durante gli autunni e gli inverni freddi del nord, penso: “Io abito al Giglio e tuttora, la miglior parte di me è lì”.

Tutto è vivo e ricordo ogni cosa. Il rumore del mare, il profumo del mare, il suo colore e la schiuma delle onde che si frangono contro il traghetto. Risento i suoni, anche i più deboli. E quella luce, così calda e dorata nel tardo pomeriggio, quando, all’arrivo, l’isola appariva e si svelava, con gli scogli consueti, le insenature, le case. Era un’intensità di vita diversa, non dico migliore, ma che in ogni modo riconoscevo, e che potenziava i miei sensi. I cespugli, le ginestre, le margherite ii fiori rosa e viola, gli azzurri e i blu che a stento non erano resi cenere dal colore del mare, gli arbusti, le viti – tutta quella natura che viveva in condizioni difficili, spesso ridotta, contorta in forme stupefacenti, mi suscitava ammirazione muta – al Giglio meno si parla, più si rispetta la bellezza, anche aspra – e, ancora una volta, mi comunicava una vitalità pacificante.

Durante le notti al Castello, la luna cessava di essere una pietra priva di vita, ed era abbagliante nella sua solitudine d’oro. Era il suono delle civette quello che mi dava la buonanotte? …La faccia di mio zio Marcello, uomo intelligentissimo, agricoltore e pescatore, segnata da rughe secche e profonde, era una carta nautica bruciata dal sole; zia Alma cuciva di fronte ad una finestra che dava sul mare, il cui azzurro era indescrivibile – una sfumatura di zaffiro che sarebbe piaciuta a Dante, che forse avrebbe saputo definirla in quella sua dolcezza impenetrabile. La sabbia di quarzo e i bagliori di pirite. Le strade bianche. Le persone. Lo zolfo e il sentiero dell’Allume. Gli scogli di Capel Rosso e la pineta. Il cibo e quel dannato vino, così profumato di terra e di sole e così inebriante…mah…siamo sicuri che Dioniso non sia nato lì? Ma poi: il cibo. Zia Gina, donna meravigliosa, un giorno mi preparò un risotto che aveva i colori del fondo marino. La gentilezza di Zio Albino. La famiglia di mia cugina Gabriella, adorabile, con il piccolo Andrea, che ora mi dà tanta gioia…

Ma quest’anno ho avuto di più. Grazie a due amici, ho conosciuto la signora Caterina Baffigi Ulivi e Suo marito. Ho avuto il privilegio di trascorrere due serate con loro. Il signor Ulivi dimostra inequivocabilmente che l’intelligenza non ha età. La Sua duttilità, l’indipendenza intellettuale, lo spirito vigile, l’attenzione lucida e disinteressata per il Giglio mi hanno davvero colpito. Dopo aver letto il libro della signora e finchè la sentivo parlare, beh – ho ritrovato la bellezza della lingua italiana e rivedevo l’acqua del mare limpidissima, che rivela ogni granello di sabbia, abbellendolo con precisione e musicalità. Così, quando penso a Lei e alla povertà lessicale che ci circonda, ricordo le parole di un poeta che così bene, per me, La definiscono: “ Sono soltanto uno degli epigoni / che abitano la dimora del linguaggio…”. E se questi due straordinari anziani-bambini, a proposito del Giglio, modificano la rotta a seconda della violenza del mare, per non farsi travolgersi dalle onde del cosiddetto giovanilismo, ebbene, sono convinto che, sotto, abbiano intravisto la profondità di una vicenda legata alla calma dei grandi fondali.

Marco Stagni