Varre! Varre! Redde mihi legiones!
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VARRE! VARRE! REDDE MIHI LEGIONES!

installazione cassone s15 rimozione concordia isola dle giglio giglionewsVare, legiones redde!  (capitolo 23° della "Vita di Augusto", scritta da Svetonio).

Altri, poi, hanno scritto che, in verità, durante un incubo notturno, il fragile erede di Cesare dalla salute malferma, avesse, invece, più volte gridato esattamente:  Varre! Varre! Redde mihi legiones!

L’evento, però, non cambia: Augusto aveva da qualche tempo il sonno agitato perché “stravolto” dalla carneficina che Arminio, principe dei Cheruschi, aveva fatto delle legioni romane, comandate da Varo,  nel corso d’un agguato, teso loro all’interno della foresta di Teutoburgo, ove ancor oggi, per chi voglia farlo, non è difficile, scavando, trovare reperti di quell’esercito e di quella disfatta.

Perché questa citazione? Non certo e non solo perché, un po’ a tutti fa piacere, a volte, sfoggiare un briciolo di cultura, soprattutto se frutto di sudati studi storico-umanistici (non per niente, secondo Mussolini, avremmo dovuto ricreare, con l’aiuto di Hitler, un nuovo impero), ma perché, a dispetto delle invocazioni notturne di Augusto per le sue legioni e di tutti gli addetti o sedicenti addetti alla questione “Concordia”, che vanno, ora per ora, gridando, come vergini violate, a motivo delle “impudenti” parole di Gabrielli, pronunciate qualche giorno fa in merito ad una delle ipotesi di rotta che il relitto della nave dovrebbe seguire, per ricevere, finalmente, il  de profundis  (uso l’avverbio finalmente perché a mio parere, questi natanti, per come sono stati concepiti   –  ossia allo scopo di realizzare il massimo di profitto –, possono, data la loro precipua conformazione,  trasformasi, in caso d’incidente, in vere e proprie bare), quando una cosa è fatta, è fatta, e come tale “capo ha”, ovvero “è inutile chiudere le porte della stalla quando i buoi sono fuggiti.”

Mi spiego meglio, il vulnus, come in qualche altra mia nota ho pure già significato, sta al principio, ossia allorchè, verificatosi il naufragio, il Governo, anziché trattare l’evento come una vera e propria catastrofe, assimilabile, di fatto, al fallimento d’una società, con la nomina specifica, in qualità di “padrone spotico”, quale una volta si diceva dalle nostre parti, d’un liquidatore pubblico, ha, di fatto ed innanzi  innanzitutto, messo nelle mani della  Costa Crociere e delle Assicurazioni, i destini del relitto.

Ha fatto, insomma, come se a chi, per sua colpa, ha provocato una strage abbattendo un palazzo, fosse demandato il compito di “provvedere”, secondo le sue convenienze, a rifondere il danno.

Da qui, da questo “peccato originale” insorge e prende piede la polemica relativa al quando ed  al dove (a quali costi ed a quali rischi) la Concordia deve essere trasportata e demolita.

Da qui, le tante e tante candidature ad accogliere e trattare il relitto.

Da qui, l’intelligente (se non fossi come tutti i Toscani, un po’ di parte, aggiungerei “e furba”) iniziativa della Regione che, d’impeto, ha stanziato fondi sostanziosi, allo scopo di rendere potenzialmente accogliente il porto di Piombino per navi di elevatissimo stoccaggio, rendendo più funzionale che mai, in quanto prossimo alle acciaierie, il bacino d’accoglienza, in modo da “prendere due piccioni con una fava”: dare, per il momento, un po’ d’ossigeno alla boccheggiante economia della cittadina del ferro e dell’acciaio della costa maremmana; predisporla e promuoverla per future e funzionali, rispetto al consolidatio storico, attività industriali.

Da qui, l’arrampicata sugli specchi del Presidente della Regione, Enrico Rossi, acciocchè la definitiva “dipartita” dalle coste gigliesi della Concordia ben collimi con la conclusione dei lavori del bacino di carenaggio di Piombino.

Se così non fosse, per l’emerito Presidente della Regione sarebbero guai politico-economici assai seri e non avrebbe più frecce da scoccare, se non per spiegare, a destra e a manca, i tanti soldi spesi con l’obiettivo di fare di  Piomibino anche un polo “dedicato” allo smaltellamento dei relitti, facendolo entrare in competizione con altre consolidate realtà industriali.

Se, poi, nello specifico, dovessi scommettere sul futuro di Piombino, nutrirei seri dubbi circa l’”appostamento” di qualsivoglia cifra, visto che, preliminarmente, secondo le cronache (anche a prescindere da quanto poco sopra affermato in merito  a Costa Crociere ed alle Assicurazioni “coinvolte”, quali affidatarie, di fatto, della soluzione, consentendo così “di suonarsela e di cantarsela” a loro piacere) Piombino non sarebbe affatto competitiva.

Comunque, ancorché, nella fattispecie, non ci si trovi di fronte a ciò che, secondo quel che ha riportato Chateaubriand nei suoi “’Etudes Historiques”,  Francesco 1° scrisse a sua madre, ossia Tout est perdu fors l’honneur, in quanto, per la Concordia,  “la decisione finale” non è stata ancora ufficialmente pronunciata, secondo me, ai Toscani, non resta che mettersi l’animo in pace e sperare in un futuro migliore.

Del resto, se così non fosse (ed io mi auguro fortemente che non lo sia) quale senso avrebbero le parole di Gabrielli (per altro ben interpretate da Enrico Rossi, che ha inteso puntualmente e giustamente contestarne la logica deduttiva, che porterebbe a Genova), pronunziate nel corso della sua ultima “uscita” su “Radio Capital”, quando, citando a bella posta un “rapporto” dell’Ente Europeo per la Sicurezza Marittima, che tratta della rotta  ricompresa tra la Corsica e Capraia, afferma tranquillamente e testualmente “Credo che più che sporcare, puliremo un pezzo di mare non particolarmente pulito.”

Se non si fosse già più che fermamente orientati per la destinazione finale di Genova, quali mai ragioni avrebbero indotto il Commissario Gabrielli, che non è certo pazzo ed inaffidabile, a dire quel che ha detto?

Semmai avrebbe dovuto tacere anziché alimentare al diapason la già più che infuocata polemica al calor bianco.

Chi occupa posti di responsabilità, più d’ogni altro, a mio parere, dovrebbe essere reticente, soprattutto quando è chiamato a gestire cose delicate. Si può essere reticenti senza per questo essere omissivi. Non per niente, quella di dire ed al contempo non dire è l’arte di chi ha tempra diplomatica allorché è assediato ed insidiato dai massmedia.

Comunque, come ho già anticipato in altra occasione, non siamo ancora al redde rationem, per cui ne vedremo ancora delle belle.

Gian Piero Calchetti