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"Stop ai sussidi per le centrali da fonti fossili"
Sussidi per centrali da fonti fossili nelle isole minori. Legambiente: «Aprire a una vera e propria innovazione nella produzione e distribuzione di energia»

In occasione della Conferenza delle parti (COP21) dell’Unfccc in corso a Parigi, Legambiente ha presentato il rapporto “Stop sussidi alle fonti fossili” nel quale sottolinea che «I principali network ambientalisti chiedono di abolirli e di spingere sulla decarbonizzazione delle economie per fermare la crescita delle emissioni di gas serra e contenere entro i 2°C l’aumento della temperatura globale. Lo stop ai sussidi consentirebbe infatti, da solo, di ridurre le emissioni di CO2 di 750 milioni di tonnellate (cioè del 5,8% al 2020), contribuendo al raggiungimento della metà dell’obiettivo climatico necessario a contenere l’aumento di temperatura globale di almeno 2° C».

L’Italia finanzia con ben 14,7 miliardi di euro di sussidi le energie fossili cioè la principale causa del cambiamento climatico che i leader della Terra si stanno affannando ad arginare alla COP21 di Parigi.

In Italia, tra le diverse voci che concorrono a formare il costo in bolletta ci sono anche i cosiddetti extra costi per le isole minori (la componente UC4). Ecco cosa dice a proposito il dossier di Legambiente:

I proventi della componente UC4, pari a 64 milioni di euro nel 2014, vengono dati alle imprese elettriche presenti in 12 isole, con consumi di poche decine di GWh/anno e una produzione complessiva pari a circa 200 GWh, con l’obiettivo di copertura degli scostamenti tra costi e ricavi effettivi relativi sia ai costi di distribuzione e misura che ai costi di produzione dell’energia elettrica nelle isole. Si può stimare che dal 2004 al 2014 le famiglie italiane, attraverso la bolletta, abbiano coperto circa un terzo di questa componente con un contributo di circa 227 milioni, 20,6 milioni l’anno.

A questi si devono poi aggiungere 10 milioni di euro destinati a 10 isole non interconnesse e gestite da Enel Produzione. Queste infatti “sono ammesse al regime di reintegrazione dei costi per l’attività di produzione”. Anche in questo caso si tratta di produzioni molto basse, meno di 5 GWh/anno, e l’onere viene pagato dagli utenti finali in bolletta attraverso i proventi derivanti dal corrispettivo a reintegrazione dei costi di generazione delle unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrico.

Il problema di questo sistema di incentivi è che malgrado sia nato per principi condivisibili, nel tempo è diventato una barriera all’innovazione e un sussidio per tenere in vita centrali da fonti fossili. Questa voce ripaga infatti la produzione attraverso centrali vecchie e inquinanti in regime di monopolio dove l’operatore controlla anche la rete, impedendo di fatto lo sviluppo di impianti da rinnovabili. Tra queste isole troviamo ad esempio Lampedusa, Pantelleria, il Giglio e Favignana, dove si potrebbe realizzare quanto oggi si è fatto a Pellworm in Germania, a Samso in Danimarca o a El Hierro nelle Canarie. Ossia, si potrebbe soddisfare tutti i fabbisogni con moderni impianti solari, eolici, da biomasse collegati a smart grid elettriche e termiche, idriche e informatiche, oltre che a sistemi di accumulo dell’energia. Ma questo non si può fare per la condizione di monopolio e per i sussidi di cui godono queste centrali. In particolare è la componente UC4 dal 2004 ad oggi a coprire i costi di queste centrali che in larga parte vanno a diesel o olio combustibile.

Un primo timidissimo passo di cambiamento è avvenuto con il Decreto Stabilità di giugno 2014, all’articolo 28, attraverso il quale si è ottenuto una “revisione della regolazione dei sistemi elettrici integrati insulari… che sia basata esclusivamente su criteri di costi efficienti e che sia di stimolo all’efficienza energetica nelle attività di distribuzione e consumo finale di energia…” la quale attraverso un percorso graduale di 4/5 anni porterà a una riduzione dei costi del sistema. La ridefinizione dei costi infatti si baserà sulla definizione di costi standard, definiti attraverso lo studio di molteplici fattori quali il prezzo medio del gasolio (addizionato del costo, variabile, per il trasporto nelle varie isole), il costo della distribuzione (variabile in base all’isola), la remunerazione degli investimenti fatti e le tasse pagate. Ma proprio perché si interviene sull’efficienza di impianti vecchi e inquinanti, secondo alcuni studi tale revisione porterà solo a un piccolo risparmio agli utenti finali, che vedranno il loro esborso ridursi solo di circa 10 milioni di euro, portando il contributo per la componente UC4 da 60 milioni di euro medi l’anno a 50.

Anche per questa ragione Legambiente chiede di aprire a una vera e propria innovazione nella produzione e distribuzione di energia in queste isole, che permetta di andare verso una gara tra diversi operatori. Il modello di gestione dovrebbe essere incentrato su una smart grid capace di aiutare una prospettiva di autoproduzione e produzione da fonti rinnovabili, integrata con sistemi di accumulo e in grado di soddisfare sia i fabbisogni elettrici e termici. È in questa direzione che va il progetto Isole Smart Energy lanciato dall’associazione nel 2014.