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Il Paese del '900 e l'allegro girotondo
Il Paese del '900 e l’allegro girotondo

Ed eccolo il Castello, il bellissimo borgo dell’isola, costruito quasi interamente su pietra granitica verso la fine dell’anno mille e dominato dalla possente ed inarrivabile Rocca pisana. Posizionato in pendenza su massi granitici di un colle, mostra l’orizzonte marino da ogni parte si guardi, anche se, dal versante di Mezzogiorno gli tiene compagnia “il Poggio”.

I suoi vicoli, come raggi di una ruota, sboccano tutti nelle due vie principali, che, racchiuse da due ali di abitazioni più o meno alte, formano la circonvallazione di Suppepesci - piazza di sopra - discesa verso la chiesa - piazza di sotto, Municipio. Pavimentato a lastre di granito estratto e lavorato nelle locali cave dagli uomini di ogni epoca, il Castello, chiamato da sempre - Paese - porta la storia del suo vissuto, in ogni cappelluccia, cella, cantina, pagliara e scalinate che portano alle abitazioni.

La dura vita lavorativa trovava poi il suo svago in questo ambito ridotto, vivacizzato dalla gioventù nello struscio serale alla ricerca di … fidanzate. Quante emozioni, quanti battiti di cuori in su e giù per quel selciato conosciuto e familiare. Ragazze, “cambiate” d’abito; via il senale delle opere quotidiane, uscivano di casa a gruppi, sorridenti e vivaci come i loro sogni o certezze di fidanzamento.

Ma quante botteghe ci sono stare al Castello nello scorrere del ‘900? Tante. Dalla prima parte del secolo giungono nomi lontani di donne, come Brasilia; Ulderica; Maria; che aprono rivendite di vino, caramelle, tabacchi e generi di prima necessità. Erano i tempi dell’allevamento delle capre e dei forni sociali con lo scambio di merce che era quasi una norma perché non giravano molti soldi.

Le donne avevano imparato il cucito come un’arte da applicare su abiti bianchi da sposa per Lei e mutata per Lui. (mutata = completo da uomo) Nel 1938, viene attivata la miniera di pirite, del Franco e dell’Allume e con essa un respiro isolano, perché l’afflusso di minatori marchigiani con le loro famiglie, aggiunti agli indigeni, formarono un bel popolo. Si aprivano così le botteghe, i bar-trattoria, le macellerie, le rivendite valori bollati, sale e tabacchi. Apre il barbiere, il calzolaio, il fabbro.

Collocati come un allegro girotondo tra piazza di sotto e piazza di sopra, i bottegai avevano i loro clienti fissi che compravano a libretto e gli abitanti di … sopra non scendevano a fare la spesa di… sotto o viceversa. Di certo, andavano se nella loro bottega terminava quella tal cosa. Oppure se litigavano.

Allora erano scenette comiche: Bottega di Miliano dei Fratozzi: Cosa vuoi cara? - Ha detto la mi’ mamma, due tacche di tonnina - No, fattela mettere nel cappellino dal bottegaio di piazza di sopra...

La bottegaia Ilva di piazza di sotto: Cosa vuoi bimba?- Ha detto la mi’ mamma, un caco - Ilva: purgati cara...

Eva, di piazza di sopra: che vuoi bimbo? …niente…guardavo. allora guarda da unaltra parte, che ci ho da fa’…

Le paesane, andavano nelle botteghe con la sporta di paglia e compravano prima a tacche, in seguito a etti: due etti di noci; un etto di acciughe; cinque ogliole.

Aneddoti da riempire pagine intere, che fanno sorridere di tenerezza e riflettere sul clima di vita che offriva il Castello, Paese dell’isola.

Tale stile è andato avanti sino alla chiusura definitiva della miniera: era il 1962, combinato, quando si dice la malasorte, con la malattia della vite. La vigna, prima risorsa dei gigliesi, coltivata da secoli e secoli col ceppo “ansonaca”, si ammala ed è un lento morire di tutto. Le giovani coppie partono, ma non imitano gli antenati andati per le Americhe: vanno nelle fabbriche italiane. I genitori restano portando avanti la vita di sempre, ma si chiudono piano piano le botteghe, il fabbro, il calzolaio, il barbiere…

Eppure guardando quel tempo, ormai perduto nel tempo, che io ho conosciuto, s’ intravvede una saggezza accomodante che culminava nel canto solitario e liberatorio. I paesani cantavano sempre: in casa, in campagna, in cantina e in chiesa.

Dedicato al mio Paese che rivive in estate la gioia del ritorno di quanti ci sono nati e poi partiti, tenendolo nel cuore sempre, di qua e di là dal mare.

Da I RACCONTI DEL CASTELLO (di imminente pubblicazione) Palma Silvestri della Barroccia