liberate il topo cartella argentino isola del giglio giglionews
Liberate il topo!
I contenuti dei post nella rubrica "Dite la Vostra" di questo giornale sono opinioni personali ed informazioni non verificate provenienti direttamente dai rispettivi autori che se ne assumono totalmente la propria responsabilità. La redazione GiglioNews si dissocia preventivamente dai contenuti che dovessero offendere o ledere la dignità di soggetti terzi, fermo restando il diritto di rettifica ai sensi della legge n. 47/1948. (n.d.r.)
Liberate il topo!

Il topo comune chiamato anche topo domestico è un mammifero roditore che vive ovunque è presente l’uomo e dove è in grado di costruirsi un nascondiglio e procurarsi da mangiare. Trova il suo habitat tanto nelle aree urbane che suburbane.

La storia che vengo a raccontare si impernia su di lui, ma perché ‘liberate il topo’ se per definizione è un animale che vive libero, lo scoprirete proseguendo la lettura.

Il periodo è quello degli anni fine cinquanta, la Scuola Elementare frequentata si trovava in Giglio Castello via della Casamatta 12, oggi sede di un ristorante. Ieri ‘marinare la scuola’ (ossia saltarla per un giorno per andarsene da un’altra parte) era impossibile, troppi i controlli in una piccola comunità come la nostra, occorreva trovare un ‘casus belli’ per uscire prima senza destare sospetti.

La fonte di riscaldamento dell’edificio erano delle stufe di terracotta alimentate con legna da ardere che era conservata in due piccoli ripostigli, nel nostro caso uno era situato sotto la scalinata di granito che porta al piano superiore, ma con l’apertura nell’aula (l’aula potremmo collocarla dove oggi è la cucina del ristorante) ed era quasi normale che qualche topo ci facesse visita o lì portato appositamente.

La nostra maestra era Caterina Baffigi Ulivi, recentemente deceduta, alla quale nonostante i nostri buoni rapporti continuati nel tempo, non ho mai raccontato nulla; lei aveva timore dei topi, noi lo sapevamo e confesso che anch’io tutt’ora provo un certo disgusto, ma il piano che avevamo pensato andava messo in atto e dovevamo pertanto superare tutte le nostre titubanze. Quando dico dovevamo perché eravamo in due io ed il mio amico Stefano Pellegrini del Carma; lui aveva accesso ad una ‘pagliaia’ (stanza in Giglio Castello dove veniva ricoverato il fieno per gli animali) di suo padre luogo ideale per catturare un topo; l’operazione veniva effettuata la sera precedente con l’installazione di una ‘trappola’ e la cattura del nostro ‘amico’ era sempre molto immediata. La mattina seguente, prima di andare a scuola, con un ‘foglio di carta gialla’ arrotolato in modo da farne un imbuto (tenete conto che era difficile trovare un giornale e l’unica possibilità era quella di ‘prelevarlo’ alla bottegaia Eva), per poter spostare ‘il topo’ dalla ‘trappola’ all’interno della ‘mia cartella di scuola’ che ancora conservo, in precedenza avevo messo i miei libri scolastici in quella di Stefano. A questo punto l’operazione era conclusa e ci recavamo soddisfatti a scuola. Dopo un po’ di tempo ‘il topo’ manifestava segni di ‘libertà’ sfregando i lati della ‘cartella’ per tentare una via di fuga; spesso la compagna che mi era vicina di banco, sentendo questi strani rumori, cercava di parlare con la maestra, ma noi la invitavamo in modo autoritario a stare zitta ed a pensare ai compiti.
L’orologio non era un oggetto dei nostri tempi ed inoltre lì dentro non sentivamo il rintocco della campana della chiesa, pertanto facevamo chiedere alla maestra da altri alunni che ora era, perché l’ora programmata per ‘liberate il topo’ era all’incirca alle dieci; spesso lei rispondeva ma perché stamani la volete sapere, ma non dava peso a queste richieste e ritornava all’attività di insegnamento. All’ora prefissata scoppiava il caos generale, ‘il topo era stato liberato’ e tutti a gridare ‘il topo il topo’, io e Stefano guadagnavamo furtivamente la porta di uscita della scuola seguiti da altri alunni per ritornarci solo la mattina seguente; avevamo raggiunto il nostro scopo. Ci scusiamo con la maestra Caterina, spesso oggetto di questa furbizia e da lassù ci perdonerà e saprà apprezzare il nostro ingegno di ragazzi; questo era l’unico modo possibile per ‘marinare parzialmente la scuola’ e non dovere giustificare la nostra assenza.

Argentino Stefanini di Ottavio