Avvicinandosi l’inverno e il tempo freddo e piovoso dei saluti (tornerò, se possibile, al Giglio la prossima primavera) non voglio lasciarmi sfuggire, per l’ultima volta, l’occasione offertami dal Vostro spazio per alcune precisazioni. Dopo un drink o una cena nel mio ristorante preferito, al Castello, di fianco alla casa dei miei zii, quest’anno ho dedicato, ogni sera, un po’ di tempo alla lettura, cercando di capire perché l’isola esercitasse su me un fascino così profondo. Non cito, in modo imperdonabile tutte le fonti. Sono marcio di stanchezza: il foro letterario interiore è andato da tempo a dormire.

Durante queste disordinate letture appresi che, sin dall’antichità alle isole venivano attribuite disposizioni umane: solitarie, silenziose, assetate, nude sconosciute, incantate, talvolta fortunate. E il Giglio, a quale attributo e connotato umano potrebbe riferirsi? Cosa scriverebbero i giovani abitanti dell’isola?... I faraglioni e gli scogli, le rupi che sporgono dalle isole sono, in letteratura, vedove e anacoreti, e da loro nascono fiabe e racconti tremendi e fantastici. Magari la signora Caterina potrebbe raccontarci quelle gigliesi…e, a proposito, mentre parlavo con Lei e della Sua esperienza come insegnante elementare, la conversazione cadde sul linguaggio.

Gli abitanti del Giglio, venni a sapere, parlavano un italiano meno “corrotto” e “appiattito” di quello usato in terraferma. Era una lingua impreziosita anche da latinismi. Ciò mi fece riflettere, in modo serio, sui concetti di isolamento e di conservazione. In parte, un’osservazione di un insegnante alla Sorbona di Parigi me lo confermò: “La lingua degli abitanti delle isole è diversa da quella della pur vicina costa, più di quanto possa motivarla l’effettiva distanza tra di loro…”.

Gentile Redazione, dimentico che continuo ad annoiare tutti. Posso consolarmi, perché chiunque da un pezzo ha smesso di leggere. La verità è che sono gravemente ammalato: da quando ho messo piede al Giglio, sono affetto da islomania (insulomania). Gideon scrisse che tra le malattie che la scienza medica non ha classificato c’è l’insulomania, una rara e sconosciuta pena dell’animo. Ci sono uomini che ritengono le isole irresistibili. La conoscenza di uno di questi piccoli mondi circondati dal mare li colma di un’indescrivibile ebbrezza. Questi insulomani (insulomanes) nati, sono discendenti diretti degli Atlantidi e il loro subcosciente anela ad un’esistenza insulare. Al Giglio, nel mio caso. … C’è, poi, il motivo, che è una sensazione reale, della sospensione del tempo. Non credo, come è stato scritto più volte, che il tempo dell’isola sia quello dell’attesa: il Giglio ama troppo la vita.

Tuttavia, sono stato colpito da queste righe che mi sembrava contenessero un accento di verità: “Gli isolani sognano solo nella prima età: e presto considerano superato il tempo dei sogni. Guardano al futuro come ad una ripetizione del passato, della sua parte migliore.” Certo, tutto questo vale per la maggior parte degli uomini: ma è davvero più significativo, al Giglio? E’ reale o è letteratura?... e se l’isola ha qualcosa di magico, si consideri che, sulle prime carte, le isole costituivano i confini del mondo; dopo di loro non esisteva lo spazio. Ultima Thule a Nord, Insulae Fortunatae ad Ovest, Tabrobana ad est la cintura australe a sud: i confini del mondo… e, per finire, con un po’ di allegria, sebbene Napoleone, ragionevolmente, non credo amasse le isole, luogo d’esilio, Esiodo, antichissimo scrittore greco, descrive così le isole, le Isole dei Beati: “Sulle isole beate, presso il profondo gorgo dell’Oceano, vivono gli eroi felici, col cuore libero d’affanni: la terra feconda offre loro il frutto del miele che matura tre volte l’anno…”. E Platone parla di Atlandide come di “un’isola santa, inondata dal sole, con templi, regge, porti e cantieri navali…”.

E allora, mentre fuori piove a dirotto e le montagne sono immerse nel nero più cupo, voi giovani gligliesi, Lei, signora Caterina, che ho nel cuore, e tu, Pietro, che per origine potete tradurre il linguaggio impenetrabile e mutevole del mare, di quel vostro mare che gli antichi chiamavano bianco e verde, potete sciogliere qualche enigma per me? Un abbraccio a mio cugino Roberto, che mi ha fatto penare e gioire, e grazie per la disponibilità.

Marco Stagni