C'era una volta il Giglio
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C’ERA UNA VOLTA IL GIGLIO

Erano gli anni sessanta ed appena, appena mi ricordo: avevo meno di vent’anni, quando, per  la prima volta, venni ad Isola del Giglio, restandone incantato!

Era quello il premio che, quell’anno, la commedia del Ginnasio lagunare, ricca d’incassi, aveva ai suoi studenti conferito.

Era allora un’avventura venirci: il Demo's Hotel ancora in costruzione, aveva un solo piano; l’acqua era imbevibile; l’Ansonaco, invece, ammiccante quanto l’oro, c’avvinceva e stordiva al contempo; la luce, anche in notti senza luna, veniva, alle undici, staccata dall’Angeli, ch’avevo conosciuto, in precedenza e che sapevo alzasse alquanto il gomito.

Quanto fu bello, comunque, visitare quell’isola selvaggia, circondata da un mare di smeraldo, ricco d’Aragoste, e di massi di granito, che, imponenti, degradavano, eccetto che a Campese, verso spiagge, deserte di turisti, trapassata da siti minerari, diversi e misteriosi, priva d’una vera strada pel Castello, cui s’arrivava in fretta, solo “rampicando” un viottolo scosceso, che, da mezza costa, portava in alto tra gelsi vigorosi di bacche deliziose, che, però, t’insaguinavan le mani, quando le carpivi, fino a spaventare la fantesca, addetta al rigoverno delle camere.

Al Castello, infine, quasi una montagna, mentre c’addentravamo per la via del Comune, ragazzi e ragazze, in pantaloni corti e … magliette a pelle, chiedendo di Pizzeta, già nostra compagna alle Medie d’Orbetello, e di Veo, amico di mio padre, ecco la sorpresa: il Maresciallo dei Carabinieri che ci redarguiva perché, in disdoro dei luoghi, austeri e raccolti in “sol y sombra” (1) ed al cospetto d’anziane castellane brontolanti, dalla pezza nera in testa, davamo scandalo con la consueta, giovanile esuberanza e le braccia e le gambe, promiscuamente nude.

Pensammo allora d’essere un’assoluta novità per il Paese!

(1) Tra sole ed ombra (metà sole e metà ombra, siccome è chiamato un particolare settore dell’arena in cui si tengono le corride).