Il 10 Agosto non potrà mai essere un giorno come gli altri.
A volte si ha come l’impressione di vivere solo in attesa di “quel momento”, di quei due/tre minuti che passano dalla chiamata della giuria sull’allineamento delle boe fino all’attimo dello sparo; l’intensità di quel lasso di tempo, così denso di emozione ed adrenalina che sembra quasi di poterlo toccare, forse è l’essenza stessa del Palio; ce lo saremo detti un milione di volte io e il Pisino (per i forestieri Daniele Rum), me lo ha confermato Francesco Orlandini il 10 pomeriggio, giusto un paio generazioni dopo. E se l’emozione sale forte dallo stomaco di chi guarda, è addirittura prepotente nell’animo dei vogatori; il fatto è che non si tratta di sport, è qualcosa di più.
Ci si allena un mese e mezzo sfidando stanchezza e dolore, onde e sverzìne, sole infuocato e folate di vento, a volte gelido, che ti soffiano contro solo per farti rabbia. Si condividono a bordo ore di sofferenza, e magari da sconosciuti si diventa amici. E’ una passione inspiegabile a qualcuno sano di cervello, perché uno sano di cervello certe mattìe non le farebbe “solo per quel momento”.
E poi quel giorno non è mai un giorno banale nell’animo del vogatore, presente o passato che sia: ci si alza la mattina guardando comunque che vento tira, cercando di intravedere sotto il Lazzaretto l’arancione o il bianco delle boe, così giusto per non perdere l’abitudine, giusto per sentirsi ancora parte di quella cosa lì. E tornano alla mente quelle belle serate di calma cagliata, quando sentivi il rumore dell’acqua che scorreva sotto la chiglia, e il reme affondava regolare, e se ti guardavi di lato vedevi lo scoglio della Ficaiaccia scorrerti accanto che ti sembrava di andare talmente veloce che il vogare non era più fatica ma soltanto piacere.
E poi fin dal mattino c’è la preparazione alla gara così lunga da sembrare eterna, l’emozione della banda che suona, le urla dei tifosi, la sfilata, i sorrisi dei tuoi amici, gli occhi complici di chi ha vogato e ti invidia quei momenti.
Ieri tra i miei avversari c’erano due di quelli che sono diventati amici in barca: li ho abbracciati mentre ci preparavamo prima del riscaldamento, poi ho abbracciato anche tutti gli altri uno ad uno (per ultimo Paolo Fanciulli, mai sulla stessa barca, ma è come se fosse sempre stato un compagno di avventura), in un vecchio rito che ho imparato da Guido Cossu e che mi è sempre rimasto impresso come uno dei momenti più belli della gara stessa; perché in fondo dimostrare il proprio rispetto all’avversario prima della sfida forse è più difficile; oppure non serve assolutamente a nulla ma a me è sempre piaciuto così.
Della gara alla fine non si ricordano che piccoli flash, istantanee di fatica e sudore, lampi di lucidità tra un respiro ed un altro, e stranamente tutto il serra finale: nel mio caso quegli applausi di consolazione all’ingresso del Porto, dolorosi come una pugnalata al cuore.
E’ diffusa l’idea che la felicità possa durare solo un instante, ma a guardare i volti dei vincitori non si direbbe proprio: c’è Ivan che dalla sera del 10 non smette di avere quel sorriso stampato in faccia; c’è l’imperscrutabile Fabio, che è stato il primo a venirsi a complimentare con tutti gli altri; c’è Daniele che ti guarda e ti sorride, con quel ghigno un po’ perfido che si può permettere solo chi ha vinto alla grande, rispondendo coi fatti anche a chi l’aveva dato troppo presto per vinto; c’è Riccardino, che si avvia a grandi falcate a diventare Riccardone, che ha già vinto due Palii e deve ancora trasformarsi da grande timoniere in grandissimo capovoga, e il futuro è tutto suo; e infine c’è Giorgio, che in una settimana si è preso un equipaggio sulle spalle, che con una gara strepitosa si è fatto perdonare da sua moglie questa sua piccola scappatella, l’aver ceduto alla tentazione di farne ancora un altro, il non aver saputo dire di no quando, per l’ennesima volta negli ultimi due mesi, si è sentito chiedere “ò, ma c’hai voglia di fà il Palio con noi?”…
Perché alla fine fare il Palio è un’emozione, e vincerlo è una gioia grande, e chi non ha mai voluto provare non saprà mai cosa si è perso.
Dedicato a noi 10 sconfitti
Perché nei più giovani rimanga la voglia
di riprovarci con più forza
e in noi vecchietti rimangano
sempre e comunque bei ricordi.
QUEL GIORNO, FORSE ….
Per me,
che non ho potuto
vederlo,
e benché
non l’abbia potuto
vedere,
j’hanno vinto tutti
il palio:
quelli che l’hanno
vinto davvero,
quelli che
l’hanno seguito,
e pure
gli sconfitti.
E questo,
perché tutti
l’hanno vissuto
intensamente
con il batticuore;
perché tutti
stavano in barca
a vogare, sudare,
ansimare e soffrire,
con la gola secca,
per qualcuno
ed, in fondo,
per tutti.
Solo io,
più tanti altri,
in quella giornata
di sole cristallino
e di brezze leggere,
piena d’incitamenti,
di grida e di voci,
non c’ero,
perché stavo
a Roma, lontano.
E me ne sarei
a lungo “doluto”,
se non avessi
potuto leggere,
prima,
il puntuale resoconto
del bravo cronista,
e, poi,
le belle senzazioni,
e i diversi pensieri,
scritti col cuore
in mano,
da Giuseppe Monti,
uno degli sconfitti.
Sensazioni
e pensieri
che non tacciono
niente,
e che, anzi,
m’hanno fatto
ritrovare
quello che avevo
ormai dimenticato,
quello che pensavo
non esistesse più
(troppo tempo
è trascorso
da quando anch’io
correvo con onore).
Non solo l’amarezza,
dopo tante fatiche
ed affratellamenti,
via via consolidati,
per essere stati battuti;
non solo la magra
consolazione
d’essere stati,
comunque, applauditi,
ma, soprattutto,
l’ammirazione
per chi ha vinto,
meritatamente.
Meritatamente
al punto che,
forse,
per l’intera vita
non gli capiterà,
mai più, un giorno
tanto “luminoso”
come quello.
Bravo “Peppe”
dalla penna brava
quanto il “reme”.