Absit iniuria verbis
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A B S I T   I N I U R I A   V E R B I S  (T I T O   L I V I O)

Immersi come siamo in una crisi generale di valori e d’economia, più che ai fatti sembra ci si affidi soprattutto ai “proclami” ed alle cosiddette “frasi fatte”.

Del resto, in un “momento” (si fa per dire, visto che sono quasi cinque i lustri in cui abbiamo vissuto “ingiustamente”, “spensieratamente”, “disegualmente”, ignorando affatto il parere ed il pensiero, profondo, accorto e responsabile, di coloro che, “disinvoltamente”, ci ha fatto comodo definire Cassandre), in un frangente qual è quello in cui ci troviamo, al cospetto di “fatti e non di parole”, fatti e non parole che imporrebbero grandi sacrifici, soluzioni difficili ed oculate, per risalire la china d’una società sperequata, ingiusta e diseguale, se non s’intende andare al “nocciolo” del problema c’è poco da fare, e prefigurare, comunque, una “ripresa” è solo “mestiere” da “imbonitori”.

Ragion per cui, se, mentre c’è assoluto bisogno di risorse, che pure esistono, ancorché ben custodite, da un 7% della popolazione, che detiene il 50% della ricchezza nazionale, per non scontentare nessuno, si spera, invece, nel cosiddetto, immancabile “stellone” italiano, confidando nella Provvidenza (alla stregua di Ugo La Malfa, che, laico fino alle midolla ed ostile ad ogni Massoneria, asseriva che l’adesione a Maastrich avrebbe costretto l’Italia ad essere “sparagnina” e virtuosa nei conti), diventa pressoché automatico affidarsi, per i “capipopolo”, agli “slogan” senza costrutto, alle frasi millenaristiche, al fideismo religioso (soprattutto cattolico), alla sicumera da spargere a piene mani, alle più icastiche affermazioni, quasi mai meditate nelle loro implicazioni e nella loro reale “significanza”.

Questa moda, quando pure riesca, e non è detto, a produrre qualche effetto esortativo e non solo esornativo, siccome è fatta soprattutto di mere espressioni verbali e di retorica levantina, costituisce, più che il preannuncio d’iniziative politiche in cui si crede e su cui fermamente si conta per un programma politico meditato e soppesato, ai fini d’una ripresa politico-economico-sociale, nonché morale del Paese,  la   “sublimazione del pressappochismo”, di cui, per altro, la storia dell’uomo, considerati i “corsi ed i ricorsi” di vichiana memoria,  è strapiena.

Partiamo, comunque, per celia e per, in un certo senso, sdrammatizzare l’assunto iniziale, da lontano, ovvero, dal “pincipio”. Ossia da quel toponimo primigenio che Virgilio afferma essere il luogo in cui  “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandar”.

Ossia dall’apodittica, quanto gratuita affermazione che, data per scontata l’esistenza di qualcuno che avesse potere assoluto, che preesistesse a tutto e che, godendo di prerogative illimitate, intendesse sperimentarsi, questi, un giorno, essendosi “stufato” d’aggirarsi in totale solitudine nell’oscurità più fitta ed impenetrabile, si fosse messo improvvisamente a  gridare “Fiat lux”, riuscendo a far luce veramente.

Ebbene, tralasciando il fatto, sempre per celia, storicamente insignificante che, poi, di questo Fiat, se ne sia impossessata una famiglia d’intraprendenti Piemontesi, di nome Agnelli, che ebbe, addirittura, l’ardire, siccome “percunia non olet” di trasformarlo in una fabbrica d’auto, fino a farlo diventare, in seguito, con l’aiuto d’un omme e marca, chiamato, appunto, “Marchiommme” e della Chrysler Atomoviles, addirittura Fica (mica poco!), m’è venuto l’idea, per altro, come dirò in seguito, del tutto velleitaria, di compulsare qualche pubblicazione che, nel corso dei secoli, come una specie di “Bignamino” d’altri tempi, tenesse aggiornato, sia l’incolto che l’inclita, sui tanti modi di dire, sulle molteplici frasi famose da ricordare, sugli infiniti motti o proverbi che hanno, via via, quale fonte di saggezza e quale vox populi vox dei, segnato ilcammino dell’umanità.

Apriti cielo! Mai e poi mai mi sarei immaginato che la nostra “cultura generale”, il nostro digestum seu pandectae delle “espressioni” più significative, siccome, appunto,  il Codex juirs iustinianeus, annoverasse, in ogni sua piega, in ogni più oscuro riposto, in ogni più angusto ambulacro, una congerie tanto grande di curiosie dotti modi di dire quali m’è toccato leggere.

Ragion per cui, stando così le cose, in estrema sintesi, facendo, come si dice, buon viso a cattiva sorte, ho pensato d’evidenziare solo alcune citazioni, quelle più “calzanti”, senza, con questo, costituire una classifica d’importanza, né farne una discettazione scientifica, né tantomeno, in un contesto di conseguenzialità temporale dell’una rispetto all’altra, addentrarmi in “ragionamenti” che, in quanto essenzialmente politici,  trattino della  “vaghezza” e dell’estrema variegabilità delle natura umana contemporanea ed, in specie, di quella italiana.

Per non eccedere nelle citazioni, ho proceduto, insomma, a “volo d’uccello”,  e pur senza passare di “palo in frasca”, ho  inteso evidenziare quelle più utili al mio scopo, in termini di pura funzionalità e strumentalità, per i personaggi che, alla fine, in bene ed in male, connotano significativamente, oltre che l’”Antichità”,  la nostra epoca ed i nostri tempi.

Ebbene, partendo da Cesare e dal suo alea iacta est, espressivo di soppesato decisionismo, e passando per Orazio con il suo caelum, non animum mutant qui trans mare currunt … (siccome è riportato anche all’ingresso della torre di Campese), quale pietra miliare della solidità del vero sentimento, ed ancora per Orazio con l’aurea mediocritas, di cui è connotata la gens romana, per Dante con Taide che del cul fece trombetta, in perfetta sintonia con il merde! di Cambronne a Waterloo, sinteticamente espressivo di sgradevole ed olezzante risposta, per Manzoni ed il suo Carneade! Chi era costui?, a testimoniare la sostanziale nullità intellettuale di certi personaggi che vanno “per la maggiore”, per Descartes, con il Cogito, ergo sum!, divenuto l’assioma fondamentale della filodofia cartesiana, per Plinio il vecchio, che incita alla morigeratezza dei costuni con il suo cum grano salis, per Gabriele Rapagnetta-D’Annunzio, con l’immaginifico Eja carne del Carnaro. Alalà! EJa! Eja! EJa! Alalà!, che, per certi versi, richiama l’eloquio “portentoso” del Segretario del Sel, Nichi Vendola, per i nostri fanti, che sulle mura di Fragarè di Ponte del Piave, diroccate dal cannone, scrissero E’ meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora, nonché Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!, per il Vangelo di San Matteo, che quando afferma Facilius est camelum per foramene acus transire, quam divitem intrare in regnum caelorum, non parla di un Cammello bensì del grossso canapo a cui veniva fissata l’ancora, ed infine (onde non indurre equivoci o pensieri malevoli per le opinioni del sottoscritto che, a dispetto del famoso detto latino excustatio non petita accusatio manifesta, si sforzano d’essere obiettive), approdare inopinatamente ai tempi nostri, attraverso quell’Honni soit qui mal y pense che, pronunciato da Edoardo III (imbarazzato per aver raccolto la giarrettiera, caduta, ballando,alla contessa di Salisbury, sua amante), di fatto dette appunto origine, all’autorevolissimo (così vanno le cose) Ordine della Giarrettiera.

Tempi nostri che, per non restringere troppo il campo, vanno (per carità, non è affatto un’assioma), da Mussolini  a Papa Bergoglio ed a Renzi, passando ciascuno per i suoi “detti”.

Partiamo senz’altro da Mussolini che, seppure, il 18 Agosto del 1926, a Pesaro, ebbe a dire “Difenderò la lira fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sangue”, vincendo la fida (a differenza di Ciampi ed Amato, che, invece, di fronte all’offensiva speculativa di Soros, molti anni dopo, la persero miseramente riducendo la Lira “al lumicino”), di “cazzate” ebbe a dirne tante, quali ad esempio, “La Massoneria è un enorme paravento dietro al quale generalmente vi sono piccole cose e piccoli uomini”, “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”, “Bisogna arrivare nudi alla meta”, “Le idee sono come cappelli che si appendono nell’anticamera”, “La guerra non è un affare di ordinaria amministrazione”, “La politica è un’arte”, “Libro e moschetto, fascista perfetto”, “Se avanzo, seguitemi. Se indietreggio, uccidetemi. Se mi uccidono, vendicatemi ”, “Li fermeremo sul bagnasciuga!”, “Molti nemici, molto onore”, etc. etc. etc.

Quanto a Papa Francesco Bergoglio, di ben altro spessore e di ben altra “possa” sono le frasi significative del suo ancor breve pontificato.

Nessuna suggestione “iperuranica”, nessuna retorica, nessuna esaltazione spirituale, bensì, stando con i piedi per terra, sostanziale esplicitazione d’un pensiero strutturalmente laico, in quanto in posseso già dei filosofi greci della scuola socratica, preesistente alla “venuta” di Cristo, legati alla morale ed all’etica che devono presiedere alla vita d’ogni giorno dell’uomo e del cittadino a prescindere dal “credo” che lo dististingue.

Ed ecco allora, in primis “Non si fa la guerra in nome di Dio!”, “Quanto vorrei una Chiesa povera per i poveri”, “Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati”, “Oggi nessuno si sente responsabile. Ritorna la figura dell’Innominato. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti innominati … responsabili senza volto né nome ... mentre dovremmo vivere la globalizzazione della solidarietà”, “ Non lasciamo i giovani nella disperazione!”, “Prendetevi, soprattutto, cura delle persone che non hanno il necessario per vivere”, “Se i beni materiali ed il denaro diventano il centro della nostra vita, ci fanno schiavi”, “Non dimentichiamo che il vero potere è il servizio. Bisogna, quindi, custodire la gente, aver cura d’ogni persona, con amore, specie dei bambini, dei vecchi, di coloro che soffrono, che sono i più fragili e che, troppo spesso, sono relegati nella periferia della nostra coscienza e delle nostre cure”.

Per Renzi, il “discorso” andrebbe ribaltato, tetragono com’è ad ogni critica, nonché fermamente convinto di quel guazzabuglio d’idee nebulose che, come tutti i “tuttoghi”, possiede, frutto di studi raffazzonati e poco metabolizzati, di cui, procedendo tra l’altro d’istinto più che di raziocinio, non riesce mai a “tenere” il “bandolo della matassa” di ciò che dice o gli viene chiesto, per cui passa da una cosa all’altra cercando di sorprenedre il malcapitato od i malcapitati interlocutori (qualcuno, maliziosamente potrebbe anche dire che “avendo  poche idee e confuse, fa d’ogni erba un fascio”).

Ragion per cui, s’avventa su tutto senza discernimeto di priorità da seguire o da assecondare, assicurando che, comunque, rimetterà in carreggiata il Paese perché lui “Ci mette la faccia”.

Ma a lui, come tanti sostengono (sempre meno, a dire il vero), che ha superato il 40% dei “suffragi” per il suo partito, è consentita sostanziale immunità verbale, nonché abbondanti dosi di facciatosta per proseguire verso un cammino che non sa e non conosce dove mai andrà a finire.

Perché, mi permetto di dire che con Renzi, il discorso andrebbe ribaltato?

Ebbene, perché i suoi modi d’interloquire, più che slogans, appaiono, per lo più, schiattose quanto furbesche risposte a seconda di chi lo critica.

Cosicché, mentre a Mario Draghi, verso il quale (tanto nomine), non può azzardare “sferzate” od adontarsi, risponde che il Presidente della BCE ha perfettamente ragione perché anche a lui stanno a cuore le riforme, fingendo di non capire, data la genericità della parola, che le riforme, cui Draghi pensa, sono alquanto diverse da quelle in cui fino ad ieri, s’è parossisticamente cimentato, ad altri, come Carlo Cottarelli, che, di fatto, lo accusa di “mangiarsi l’uovo in culo alla gallina”, siccome volgarmente si dice in Maremma, perché i tagli e le “economie” da fare, individuate dal “tecnico”, nominato da Letta,  già, in gran parte, sono state impegnate per coprire “vuoti” di spesa corrente, fa sapere che la “Revisione della spesa di 16 miliardi la si farà lo stesso. Se non c’è lui, ci sarà un altro”.

E mentre tace del tutto con il Presidente pro tempo, della Corte Costituzionale, Giuseppe Tesauro che gli dice di non correre, appunto, con le riforme Costituzionali, annovera, quale acceso nemico, il grande amico d’un tempo, ovvero Diego Della Valle, che, addirittura, arriva ad affermare che “La Costituzione, che è stata scritta da gente come Einaudi, per carità non facciamola  cambiare dall’ultimo arrivato con il gelato in mano”.

Ma cosa mai si può dire se non sperare in un rapido “abbandono”, indotto o volontario che sia non fa differenza, d’una persona che, dopo aver messo a cuocere, senza costrutto e priorità da rispettare, ogni tipo di pietanza per ridare, senza, per altro, ottenere il minimo risultato, “impulso” all’economia del Paese, scongiurando il Colesterolo “cattivo” e “salvaguardando”, specularmente, quello buono, appena in Aprile, ossia quattro mesi fa, proclamava, con sicumera, che l’Italia, nel 2014, “Crescerà almeno dello 080%, e siamo prudenti”.

E che poi, alla stregua delle famose frasi della “malanima”, che, dal balcone di Piazza Venezia, molleggiandosi sulle gambe e sulle ghette, asseriva, con spocchia e prominenza di mento, “Vincere e Vinceremo”, “Sul quadrante della storia battono le ore solenni delle decisioni irrevocabili”, al cospetto dei molteplici segnali e delle innumerevoli prese di posizione dei maggiori centri d’analisi macroeconomica nazionali ed internazionali, che asseriscono il 2014 e forse anche il 2015 orribiles, visto che come “normotipo” in senso generale pure gli assomiglia, se ne strabatte di tutto e di tutti e solo perché, a colpi di ricatto (minacciando le elezioni), ha ottenuto, in prima istanza, un’inutile riforma (mancano ancora quattro “letture” e quattro votazioni) del Senato (che, semmai, per risparmiare anche sul fronte delle scandalose retribuzioni del personale, andrebbe abolito), strapieno di se stesso come non mai, fa subito sapere alla Stampa che “Ora nessuno fermerà il cambiamento!”

In conclusione, abbiamo l’impressione che Renzi, soffra d’una certa dislessia intellettual-cognitiva, per cui confonde con “eventi” positivi, espressioni quali  “Bipartitismo perfetto” e “Biparlamentarismo perfetto”, che, invece, nella fattispecie,  a dispetto dell’ordinario  significato dell’attributo, sono senz’altro da considerarsi, alla stregua della cosiddetta “Tempesta perfetta”, come altamente negativi, e quindi da eludere ed eliminare in fretta.

Così come, alla maniera degli scouts, che, nel raduno di Sanrossore, facendo un paio di “rimpatriate” ha voluto rinsaldare nei loro principi comportamentali, che, improntati all’ostentare, fino a cent’anni se occorre,  una comune divisa, con tanto di calzettoni, pantaloni corti, camicia e cappello, li vede confondere lo “sprezzo” del pericolo, con l’attraversamento d’un bosco senza bussola, l’accensione del fuoco senza l’ausilio di fiammiferi, i dormiveglia in tenda con l’allerta d’una trincea, nonché l’attraversamento d’una strada trafficata, tenendo per mano una vecchietta spaurita, con un “percorso di guerra” al fronte.

Un vero uomo di governo, a mio parere, più che “esibirsi” in infantilismi  ed enunciazioni altisonanti, via via aggiornate a seconda dei tempi e delle circostanze,  deve imprescindibilmente possedere virtù che al nostro mancano e che sono: lucidità d‘indagine, acume nella scelta delle priorità, compostezza nel linguaggio, competenza nell’agire, ma, soprattutto, umiltà e ferma volontà d’operare per il bene comune, anziché “intronarsi” sopra le nuvole, compiaciuto di sé stesso per quanto è “bravo”.

Non va mai dimenticato che l’Italia, per quella che è e per come si ritrova, ha bisogno di Cincinnati più che di Santi miracolatori che, ad ogni piè sospinto,  garantiscono il prossimo “avvento” del Paradiso.