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Un ricordo di Francesco Baffigi
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Un ricordo di Francesco Baffigi

Per ricordare Francesco Baffigi, Cecco per noi, sarebbe facile e forse anche logico iniziare partendo dai successi della sua vita professionale, che lo ha portato ad occupare posti ed incarichi di assoluto rilievo nel panorama industriale e imprenditoriale del nostro paese e non solo, dando così di riflesso prestigio e notorietà alla nostra isola.

Quello che invece mi preme di più, ora che ci ha lasciato, è di mettere in evidenza come, ogni volta che ritornava al Giglio, gli venisse così spontaneo, naturale, vivere in modo semplice, alla mano con tutti, come se dal Giglio non si fosse mai allontanato; lui che chissà quali e che tipo di ambienti e persone, aveva occasione di frequentare.

Ritrovare i vecchi amici d'infanzia per farsi una partita a carte, bere insieme un buon bicchiere di ansonaco, che pure gli piaceva molto, abbandonarsi a qualche ricordo, insieme alle uscite in barca, perlomeno finché ha potuto, erano le cose che riempivano le giornate gigliesi del nostro caro Cecco.

Scanzonato ed ironico quanto basta, sempre con la battuta pronta, ma cervello finissimo quando la discussione si spostava su temi più seri, come ad esempio la politica.

Io poi, ma non sarò stato di certo l'unico, ho sempre avuto davvero un bel rapporto con lui, di stima reciproca, anche se non sempre le nostre idee collimavano in tutto e per tutto.

Vorrei ricordare inoltre il suo profondo attaccamento ad alcune delle nostre più belle istituzioni e tradizioni.

La banda Enea Brizzi prima di tutto, alla quale era legato da un affetto nato all'interno delle mura domestiche fin dai tempi della sua infanzia, trasmessogli sicuramente dal babbo Loredano direttore e maestro di banda, oltre che valente suonatore di clarinetto; lo ricordo spesso, affacciato alla finestra della sua casa di via Roma, salutarne il passaggio con un semplice gesto.

C'era anche la mattina di Pasqua del 2010, in occasione della Processione che segnava la mia uscita in banda appunto; gli risposi sollevando leggermente il clarinetto e quel modo di salutarsi era diventata una consuetudine.

Per quanto riguarda il suo attaccamento alle nostre tradizioni due episodi mi piace ricordare.

Un Capodanno, quando il Capodanno si cantava ancora di notte, era al Giglio con un cospicuo numero di amici e si premurò di darci i nomi di tutti loro, signori e signore; nel cuore della notte, cantammo il buon Capodanno a tutti in un clima di commozione e di stupore da parte di queste persone che, chiaramente, erano state tenute all'oscuro di tutto.

L'altro episodio riguarda la festa di San Mamiliano, il 15 settembre, alla quale era davvero legato.

Bene, un anno, non ricordo quale fosse, mentre qualcuno incominciava a domandarsi come mai "Cecco non è al Giglio", verso le 9,30 si sentì il rumore di un elicottero volteggiare sopra il Castello e atterrare poi sull'aia di Santa Croce, vicino al paese, dove da piccoli, e lui di sicuro prima di noi, eravamo soliti giocare a pallone.

E così Cecco, anche quell'anno, partecipò alla Processione in onore "dell'unico Patrono", come dice il mio amico e poeta Tonino e, magari dopo aver mangiato a casa di amici un bel piatto di cavatelli, nel pomeriggio risalì sull'elicottero e se ne ripartì, avendo così adempiuto al suo dovere di gigliese e cristiano.

Alla moglie Franca e a tutte le persone che gli sono state sempre vicine va un abbraccio sincero e le più sentite condoglianze da parte mia e di mia moglie Barbara.

A Te che ci hai lasciato, caro Cecco, ti saluto con un po' di ironia, come forse ti sarebbe piaciuto e per farlo prendo in prestito il nome che, qualche anno fa avevi dato alla tua barca: “CI BA STA" averti conosciuto.

Angelo Stefanini