MIME-Version: 1.0 Content-Type: multipart/related; boundary="----=_NextPart_01C5FF70.4D60B290" Questo documento è una pagina Web in file unico, nota anche come archivio Web. La visualizzazione di questo messaggio indica che il browser o l'editor in uso non supporta gli archivi Web. Scaricare un browser che supporti gli archivi Web, come Microsoft Internet Explorer. ------=_NextPart_01C5FF70.4D60B290 Content-Location: file:///C:/91625AC9/Illuogodeisassi.htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii"
Il
“posto dei sassi”
Riflessioni
sul ruolo attuale del museo mineralogico
Alessandro Fei[1]
1.
Introduzione.
Chi non è mai rimasto incantato di fronte ad un quadro di Raffaello o aduna scultura di Canova? La risposta è ovvia: nessuno. = Nei confronti dell’opera d’arte c’è un rapporto emo= zionale che spesso travalica il proprio background culturale. E quindi si può visitare un museo d’arte rimanendo appagati anche senza domandarsi, ad esempio, perché Dürer si dipingesse, nel suo = Autoritratto, nelle vesti del Redentore.
2. =
Fenomenologia
del Museo Mineralogico.
Il rapporto che viene ad instaurarsi fra il visitatore di una collezione d’arte e gli oggetti = ivi conservati è ben diverso da quello che nasce fra lo stesso visitator= e ed i reperti di un museo scientifico/naturalistico. Un museo zoologico – così come un planetario, un orto botanico, persino un museo paleontologico – può essere apprezzato anche da una platea che abbia una conoscenza non specialistica, in quanto il visitatore riesce comu= nque a instaurare un rapporto di familiarità fra quei reperti e la realtà che lo circonda: nell’orto botanico può ritrovar= e, sebbene in un turbinio di colori sfavillanti, la “sorella maggiore= 221; di quella piccola azalea che coltiva nel proprio giardino. Il fatto, però, che si tratti sempre di un’azalea fa sì che ed al= lora egli torni a casa rincuorato dal pensiero “se sarò bravo riuscirò a trasformare la mia rachitica piantina in un qualcosa di simile a questo”. Probabilmente l’elefante si è visto solo in TV, però il diorama della savana ammirato nel museo rievoca ricordi ancestrali[2] mai del tutto sopiti. E in quest’ottica anche in un museo paleontolog= ico può crearsi un’interazione emotiva tra l’oggetto conserv= ato e il fruitore.
Ben diversa è la situazione quando si ha a che fare con il mondo dei minerali: una volta indicai, ad alcuni amici in visita al Museo di Mineralogia dell’Università di Firenze, due cristalli di dimensioni centimetriche con l’habitus della peretaite che avevano subito una paramorfosi di onoratoite. Un campione unico al mondo, vi= sto con gli occhi dello studioso: a loro, invece, sembrò cosa da poco a confronto con le geodi di ametista del Brasile[3].
Il visitatore, abituato a= d un rapporto emozionale con l’oggetto conservato, difficilmente riesce ad arricchire il proprio bagaglio culturale in un museo mineralogico, anzi, non è in grado di immaginare che quel “sasso” che ha utilizz= ato per puntellare la ruota della macchina possa essere costituito dalla stessa sostanza di quel minerale osservato nel museo e del quale ha ammirato le splendide cristallizzazioni. In sostanza egli rischia di terminare la visita con la convinzione intima che “nel museo ci sono i minerali, fuori= ci sono i sassi”.
Un museo mineralogico non può contenere solo campioni di dimensioni gigantesche o dai colori sfavillanti: se così fosse, saremmo costretti ad esporre unicamente = dei cliché globalizzati, come i cristalli di quarzo del San Gottardo, le acquamarine d= el Pakistan, le ametiste e qualche tormalina del Brasile, le rose del deser= to e pochi altri. Ciò non significa respingere a priori un crite= rio espositivo che prediliga l’estetica, anche se il visitatore non deve essere esclusivamente stupito dal campione conservato, in quanto il museo diventerebbe solo il luogo delle meraviglie.
D’altro canto un= 217;esposizione strettamente topografica presenta notevoli inconvenienti: nel= la maggior parte dei casi gli abitanti del posto vengono presi da una sorta di smania campanilistica per la quale persino la masserella di calcite microcristallina verrebbe spacciata come autentica rarità; al contra= rio, il “forestiero” non riesce ad apprezzarne il valore reale senza un’accurata didascalia. Non è facile realizzare un percorso espositivo esclusivamente di tipo topografico, in quanto si rischierebbe talvolta di allestire collezioni monotematiche poiché in molte zone = la varietà delle specie rinvenute è pressoché inesistente= ! Il caso del Museo della Geologia e della Mineralogia dell’Isola del Giglio è da considerarsi più che felice, grazie all’elevato numero di specie rivenute nel territorio ed alla grande diversità degli affioramenti litologici dell’isola.
Un terzo criterio esposit= ivo è quello strettamente scientifico, in cui si rispetta rigorosamente la sistematica dei minerali. Ovviamente devono essere esposte= il massimo numero possibile di specie, ma ciò va a totale discapito dell’estetica: il visitatore magari focalizza la sua attenzione sull’eudidimite, sulla lengenbachite o sulla voglite= , ma spesso ci si trova di fronte ad una spolveratura biancastra sulla roccia, senza rendersi conto del vero valore scientifico[4] del campione osservato.
Un problema non ancora ri= solto, inoltre, è quello dei campioni di dimensioni submillimetriche. Chi ha messo, anche una sola volta, gli occhi dentro ad un microscopio ha scoperto= un intero universo racchiuso in pochi millimetri quadrati. Ovviamente in un mu= seo mineralogico, anche supponendo di mettere a disposizione del pubblico un microscopio binoculare, non si può ipotizzare una visione collett= iva del pezzo, e ciò inficia la qualità dell’esposizione. Se pensiamo, però, che almeno il 50% delle specie mineralogiche note fi= nora è presente in piccolissimi cristalli, si può tentare di far fronte al problema ricorrendo ad una lente d’ingrandimento ma, eccezi= on fatta per qualche campione di dimensioni millimetriche, il risultato non è mai all’altezza delle aspettative[5].
Un ultimo criterio che a = parer mio non può essere assolutamente ignorato è quello dida= ttico. Al museo si può imparare oltre che vedere: il Museo Scientifico, al = pari e anche forse più di altre realtà espositive, si presta alla realizzazione di percorsi dimostrativi. Esistono molti musei strutturati secondo una precisa scansione didattica[6] e, con un po’ di pazienza, si riesce ad uscire dal percorso avendo acquisito un notevole bagaglio di informazioni. Ma il grande problema &egra= ve; che per visitare un museo “didattico” è necessario mo= lto tempo, bisogna soffermarsi davanti ad ogni singola vetrina, leggere attentamente ogni cartellone ed ogni didascalia: il che può risultare faticoso.
In sostanza non esiste= , nell’allestimento di un museo mineralogico, un criterio espositivo ottimale ed univoco. Si devono infatti tener presenti tutta una serie di problematiche (scientifiche, estetiche, geografiche, museologiche etc.) che spesso sono in conflitto fra di loro: talvolta – è il caso dei musei più grandi – si osservano dei pot-pourri che rischiano di confondere i vari percorsi museologici fino a sminuire il valo= re stesso del singolo pezzo[7].
Il museo, infine, è= ; anche un centro di ricerca sia scientifica (col museo possono esser= vi laboratori dove vengono studiati i singoli minerali e le loro associazioni)= sia museologica (studi di cartellonistica, di fotografia etc.), sia collezionis= tica (attorno al museo possono “gravitare” associazioni di collezion= isti o gruppi di studiosi).
3.
Per una filosofia del Museo Mineralogico<=
/b>.
«Guarda che bel cam= pione, è un pezzo da museo!»
Quante volte si è =
detto
– o almeno si è sperato di poterlo dire… – ad un a=
mico
in visita alla nostra collezione di minerali. Come se il museo fosse un luo=
go
magico in cui è conservato il non plus ultra della Scienza e =
il
mestiere di Conservatore consistesse nel vagare per mercati per reperire pe=
zzi
rari o esteticamente affascinanti. Il mio maestro[8]
andava spesso alle grandi mostre (il Mineralientage di Monaco, le Mo=
stre
di Firenze, Bologna, Torino etc.) a cercare il pezzo, ma nella maggi=
or
parte dei casi tornava – solo apparentemente – a mani vuote. Non
perché sui tavoli non ci fossero campioni degni di rilevanza o il lo=
ro
costo superasse di gran lunga il budget previsto, ma piuttosto
perché in tali occasioni non era tanto importante acquistare un camp=
ione
quanto incontrare le persone, scambiarsi idee, proposte anziché minerali, chiarire dubbi e ricevere
suggerimenti.
Il Museo Mineralogico come luogo di idee.
·  = ; Al museo si può trovare la risposta alle proprie domande.
Questa affermazione apparentemente può sembrare utopistica. Ma il Museo deve= b> essere il luogo dove si può andare a chiedere informazioni, nel tentativo di dare una risposta ai propri interrogativi. E’ superfluo affermare che il Conservatore non è un “tuttologo”, ma all’interno di un museo degno di tal nome devono esserci strumenti a disposizione degli studiosi, da utilizzare ovviamente sotto la supervisione= del personale addetto. Nel caso d= el Museo Scientifico-Didattico del Liceo Scientifico ‘Leonardo da Vinci’ di Firenze si è addirittura deciso di aprire i laborato= ri e le vetrine alle scuole elementari e medie del territorio (si tratta del cosiddetto “Progetto Museo Aperto”) con l’obiettivo di avvicinare i più giovani al mondo delle Scienze Naturali: i ragazzi = si sono dimostrati entusiasti partecipando attivamente alle esperienze ed ai giochi didattici loro proposti.
·  = ; Al museo si possono accrescere le proprie conoscenze.
Scopo precipuo del museo = non è quello di conservare[9], ma bensì quello di mostrare, nel senso di suscitare intere= sse e dare stimoli al visitatore. Da una visita al museo il collezionista, lo studioso, il mineralogista devono trarre spunti per le loro ricerche. Al mu= seo si può, oltre che ammirare i singoli campioni, vedere de visu= e non più solo in fotografia la binnite e la bournonite, domandarsi quanto ne sappiamo sull’isomorfismo nelle tormaline, studiare la frequenza di un certo habitus cristallino per una certa = specie etc. In questo modo il museo diventa vettore ideale per migliorare il nostr= o background culturale. Il museo può addirittura suggerire spunti per nuove ricer= che: in questo caso sarebbe auspicabile che potesse fornire direttamente, oltreché gli strumenti, anche i campioni per lo studio[10]<= /span>.
·  =
;
Il museo come luogo della memoria.=
Ogni museo è il ri= sultato del lavoro di decine di persone per decine di anni. Fatta salva qualche lap= ide commemorativa, questi infaticabili operatori rimangono nell’ombra ed = il museo stesso è il loro monumento. Il Museo – la maiuscola in questo caso è d’obbligo – deve quindi essere in grado di= far veicolare questo messaggio: chi vi si reca deve sentirsi parte integrante di una collettività di persone che condividono – o hanno tracciat= o il solco – della nostra comune passione.
·  =
;
Il museo come contributo di tutti.=
Abbiamo già detto =
che il
museo è un luogo che appartiene alla collettività: dovrebbe
essere quindi un piacere del collezionista contribuire direttamente al suo
arricchimento, donando esemplari. Non è detto che debbano essere
necessariamente “pezzi da museo”: anzi, spesso può essere
molto più importante che il museo conservi un campione poco apparisc=
ente
ma di difficile reperibilità. Per esempio sarebbe più
apprezzabile regalare al museo un cristallo di sanidino di
·  = ; Al museo si “traggono gli auspici”.
Anch’io, come tutti= gli appassionati di mineralogia, ho cominciato a cercare più di trent’anni fa – nel 1967 – girando per sentieri e pietraie con in mano il martello da geologo, ma il rapporto quotidiano che per anni (1981-1985) ho avuto con il Museo di Mineralogia di Firenze mi ha insegnato= che scavando non è detto che si trovi il minerale più bello e che= non ha senso buttare giù un’intera parete per trovare i campioni più preziosi[11] né tanto meno portarsi via, dopo una giornata di ricerca, una ventin= a di cassette di minerali: prima o poi una buona parte di queste resteranno a prender polvere e ad occupare spazio. Talvolta è più proficuo aguzzare l’ingegno che smartellare a più non posso, lasciandosi conquistare dalla bellezza e dalla perfezione della natura[12]<= /span>.
·  =
;
Con il museo si può fare il
“salto di qualità”.
Forse è proprio nel Museo di Mineralogi= a che ho deciso di smettere di cercare minerali, per dedicarmi totalmente alla mineralogia descrittiva ed alla museologia scientifica. E ritengo tuttora c= he il miglior destino di una collezione sia quello di essere offerta ad un mus= eo di minerali<= ![if !supportFootnotes]>[13]<= /span>.
·  = ; Il museo deve poter ospitare i nostri campioni.
Anche quest’afferma= zione non deve apparire come un’utopia. Molti collezionisti[14]<= /span> prestano campioni della propria collezione per mostre didattiche o esposizi= oni temporanee. Talvolta nei più grandi musei si osservano delle teche dedicate proprio ad esposizioni temporanee di campioni appartenenti a collezioni private. Ritorno a dire che il piacere di presentare i propri “pezzi migliori” è enorme e ci permette di superare la dimensione del “raccoglione” per entrare in quella di “mineralogista”.
In questo mondo di rea= lity show, di apparizioni televisive usa-e-getta, di lotterie – in sostanza di spazzatura culturale – il Museo Mineralogico diventa il l= uogo dove possiamo sentire che la nostra passione ha sempre – anzi, oserei dire ancora più di prima – senso di esistere.
[1] Curatore Scientifico d= el Museo della Geologia e della Mineralogia dell’Isola del Giglio, Via Provinciale 9, Giglio Porto, Isola del Giglio. Conservatore del Museo Didattico-Scientifico del Liceo Leonardo da Vinci di Firenze, Via Giovanni de’Marignolli 1, Firenze.
[2] Davanti ai diorami del= la giungla tornano alla mente i romanzi di Emilio Salgari.
[3] Secondo il mio modesto parere, queste geodi sono tutte uguali.
[4] Non credo che tutti i
collezionisti, davanti alla garavellite del Museo di Mineralogia di
Firenze, ai cristalli di liebigite o alla miersite del British
Museum di Londra si rendano conto di essere davanti ad esemplari
pressoché unici al mondo.
[5] Nella vetrina “I
minerali della sabbia di Campese” del citato museo mineralogico gigli=
ese
ci siamo dovuti limitare all’esposizione dei campioni più gran=
di
(0.5-
[6] Ricordo lo splendido M= useo della Geotermia di Larderello, con tanto di soffione dimostrativo o,= per restare nel campo strettamente mineralogico, il Museo della Miniera del Temperino presso Campiglia Marittima.
[7] Nel Museo di Mineralog=
ia
dell’Università di Firenze sono conservati un gruppo di campio=
ni
“storici” (i cosiddetti quattro evangelisti) di dimensio=
ni
colossali (ognuno pesa qualche tonnellata!) provenienti da Grotta d’O=
ggi
all’Isola d’Elba. Estratti alla fine dell’Ottocento,
meriterebbero almeno un cartellone che mettesse in luce la funzione
“didattica” per i mineralogisti del tempo: in un’Italia
positivista, in cui all’Elba ogni giorno veniva scoperto un nuovo
minerale, erano per così dire il “simbolo” dell’al=
lora
moderna mineralogia, che aveva annoverato tra i suoi maestri il grande Quin=
tino
Sella. E invece ci sono solo i cartellini dell’epoca… sic
transit gloria mundi!
[8] Il compianto dott. Giuseppe Mazzetti, Conservatore Capo del Museo di Mineralogia dell’Università di Firenze, alla memoria del quale questo intervento è dedicato.
[9] Per quello va benissim= o un semplice magazzino, o al massimo un caveau.
[10] Il bellissimo saggio “I minerali della Toscana” di Guido Carobbi e Francesco Rodolico (Olschki, Firenze 1976) annotava la presenza di alcune miche di uranio sull’isola di Montecristo. Ciò mi dette l’impulso per approfondire le indagini sulle mineralizzazioni di quell’isola, attraverso l’esame dei campioni conservati presso il Museo di Mineral= ogia di Firenze: ne emerse un interessante studio di mineralogia e storia minera= ria (pubblicato nel 1985 sul Notiziario del Gruppo Mineralogico Fiorentino= i>), prodromo dei miei lavori successivi sulla storia delle estrazioni minerarie nella costa livornese.
[11] Le scogliere della Pu=
nta
di Pietralta dell’Isola del Giglio – famose per il quarzo co=
n la
malachite – sono state ridotte ad una pietraia desolata ed instab=
ile
da un gruppo di vandali (mi rifiuto categoricamente di definirli ricerca=
tori)
in preda ad una ricerca sfrenata del campione più appariscente. In
sostanza quello che sarebbe potuto essere un laboratorio naturale ideale pe=
r lo
studio dell’alterazione dei solfuri misti – così come
accade, ad esempio sugli Scogli dei Ciclopi di Aci Trezza (CT) ̵=
1;
è stato distrutto irrimediabilmente grazie all’imbecillit&agra=
ve;
di pochi “raccoglioni”, come li chiamava il grande mineralogista
fiorentino Garavelli.
[12] Antonio d’Achia= rdi (Mineralogia della Toscana, 1871-72) riusciva a rimanere stupito dal= la singolare associazione tra galena e malachite dei campioni gigliesi. Che bello sarebbe se anche oggi il collezionista fosse capace di rimanere affascinato= da qualche cristallino di pochi millimetri!
[13] Ho scoperto piacevolm= ente che una delle più importanti collezioni private di Firenze (la collezione Morales Hirsch) è stata ceduta integralmente, con l’obiettivo di ricavarne un museo mineralogico.
[14] Tra cui il grande e
compianto dott. Giancarlo Brizzi, il quale nel