Sul notiziario GiglioNews del 10 scorso è riportata la notizia della presenza di granito del Giglio nella torre e nel Duomo di Pisa, notizia inviata dal professor Alessandro Fei, curatore del nostro Museo Mineralogico e recentemente nominato cittadino onorario dell’isola dal Consiglio Comunale.
L’utilizzazione del granito del Giglio nella costruzione della famosa torre pendente non è mai stata provata documentalmente, ma è verosimile. Infatti negli statuti di una corporazione artigianale molto potente a Pisa all’epoca della costruzione della  torre, quella dei “fabri”, sono elencati i privilegi che  avevano ottenuto dall’Arcivescovo. Da questi risulta che essi, dopo aver lavorato a Pisa in estate, d’inverno si recavano a lavorare sulla costa maremmana, all’Elba, in Corsica e anche al Giglio. In queste località gli artigiani pisani rimanevano fino alla festa di S. Caterina di Maggio.
Ma se la presenza del granito del Giglio nella torre è, dal punto di vista dei documenti, solo una ipotesi verosimile, è invece una certezza assoluta che le enormi colonne della cattedrale siano state cavate al Giglio (anche se qualche secolo dopo). Infatti nel 1595 un violento incendio aveva gravemente danneggiato il Duomo. Fu colpa di un operaio che riparava le lastre di piombo del tetto, un  certo Giovanni  di Domenico di Pietro da Milano. Questi si era dimenticato un “caldano” acceso che serviva per lavorare le lastre di piombo e provocò l’incendio dei legni vecchi dei cavalletti del tetto.
I successivi lavori di ristrutturazione, fortemente voluti dal Granduca di Toscana e da tutta la popolazione pisana, comportarono, fra l’altro, la rimozione di otto colonne della navata principale e la loro sostituzione con altre in granito giunte dall’isola del Giglio. Come ha giustamente argomentato il prof. Fei, probabilmente queste colonne furono lavorate dietro l’attuale paese di Giglio Porto, nella zona ancora oggi chiamata “le colonne”( vedi foto della greppa fatta con pezzi avanzati di altre colonne).
Le colonne giunsero a Pisa (precisamente a San Piero a Grado) nel mese di agosto del 1599 e lì furono depositate in attesa di essere trasportate all’arsenale, che fungeva da deposito di materiali in arrivo, dopo aver fatto scalo nel punto chiamato  “ Capo Cavallo “, che corrispondeva all’incirca al luogo dove è oggi il ponte Solferino. Per il trasporto via mare delle colonne gigliese fu chiamato Giovanni Moscato di Candia, detto “il Grecho”, che aveva già prestato servizio nella cattedrale durante le fasi di puntellatura delle colonne rotte, e per l’occasione fu costruita una apposita imbarcazione.

E’ entusiasmante, per noi modesti cultori di storie locali, vedere confermate le stesse conclusioni da parte di cultori di altre e più nobili discipline, come la Mineralogia nel caso del prof. Fei.
C’era già successo con i pregevoli studi del prof. Francesco Sala (a cui auguriamo una rapida guarigione per un suo recente problema di salute) docente di Biotecnologie all’Università di Pavia ed assiduo ed innamorato frequentatore della nostra isola, allorché confermò, con lo studio del DNA dell’uva ansonaca e delle sue mutazioni spontanee, che il percorso del vitigno dalle isole della Grecia (ceppi  “Roditis” e “Sideritis”), alla Sicilia, fino all’isola del Giglio, era avvenuto proprio nei tempi e nei modi già ipotizzati e capiti studiando discipline e fonti completamente diverse.

Armando Schiaffino


Isola del Giglio CONFERME SUL GRANITO ISOLANO 1