L’Aegilium va in pensione: 33 anni su e giù tra Porto S.Stefano e Giglio. Vado indietro con la memoria (un po’ ossidata) con inevitabili errori ed omissioni.

Quando è arrivato, il nuovo traghetto Aegilium pareva enorme, moderno, addirittura eliche in tutte le direzioni, passeggeri e auto a volontà: girava nel porto senza aiuti, e così mandò a riposo la boa in mezzo al porto, quel vecchio cassone metallico e rotondo su cui i traghetti facevano perno, appesi di prua, per girare la poppa verso l’attracco al pontile: all’aggancio pensava il duo Umbertino-Peppe (Rèfola e Camomilla  Kid) sulla barchetta a remi che a vederla pareva un Davide di fronte a Golia-Toremar.

Una bella nave, insomma, da navigarci tranquilli. Avevamo cominciato, Angela ed io, anni prima, con un altro Aegilium, basso, slanciato ed elegante come deve essere una vedetta (della marina olandese). Partiva da Porto S.Stefano dove c’era l’Ufficio Marittimo e il bar Giulia; attraccava di poppa al molo rosso, dove molti ragazzini (è vero Franco?) chiedevano di portare i bagagli (a pagamento): oggi sono distinti signori pensionati o pensionandi.

Erano i tempi, del Giglio “di allora”. La zattera di Meino portava un’auto o due, da sbarcare sul pontile (quello vecchio, sui pali di legno e vuoto sotto, come si conviene) col paranco; Emanuele portava la nafta alla centrale del Campese. L’acqua potabile (talvolta un po’ salata) veniva con la cisterna che poi andava al Capelrosso a rifornire il faro di Luigi. Col mare grosso si andava coi secchi alla cannella. All’esterno del molo rosso, si buttavano i rifiuti e c’erano pesci a volontà. 

Intanto Enzo Cicchese infilava cernie attirate dal polpo cotto; Ausonio, lo scalzo, trainava a remi, con la lenza all’orecchio, e Moretto, il cagnetto nero, seduto a prua, a scrutare il mare; Baglioni curava i motori malati. C’era la frasca per l’Ansonaco, di Vincenzo e il latte locale a domicilio; Cecilia si gettava nel mare del Lazzaretto, nel film “La colpa di una madre” dove recitava anche un mio zio (acquisito) Erno Crisa; Marcello faceva quadri di velieri e piroscafi: dipinti belli e ... lavabili! Valgo addomesticava il granito; Assunto stendeva i filaccioni a dentici, tra la Croce e la Calbugina; Campodonico dava luce ai fari dal deposito del gazometro.

Nella caletta del Saraceno Rino installava il Farymann 6 cavalli nella barchetta di legno che avevo comprato (100.000 lire) da Foa ; Libera ci faceva il bucato, Rio era ancora per mare; Pipetta raccontava la storia dello squalo steso da un suo cazzotto. Intanto i traghetti si succedevano l’uno all’altro, piccoli e grandi, lenti e veloci, di qua i pubblici, di là i privati.

Ecco allora gli aliscafi Freccia del Giglio che volano sulle onde tra mal di mare e claustrofobia. Di qua il Rio Marina - venuto dalla Scandinavia - con tanto di portellone a poppa; fra i marinai, il simpatico Aldo di Lampedusa; forse c’era anche il Paoletti, dalla cistifellea difettosa. 

Di là il Giglio Espresso I° e poi il Città di Meta (detto dai locali Città di Merda) che, adatto al placido Tamigi, piatto sotto, sul mare nostro ci stava male: divenne il Giglio Espresso II°. Sempre di là, il Gabbiano I° e il II°, già navi militari; e poi il Dianium, sottoposto a ripetuti interventi di taglia e incolla per lungo e per largo, da Beppe Rum e Argentino: Beppe il tuttofare, da ormeggiatore a ingegnere navale e Argentino il corsaro di mille regate. Si infilava nel vento teso di maestrale come un siluro.

Nilo col barcone di ferro tentava di allevare aragoste somale; Principino di notte, sulla barchetta a luci spente, era un pericolo per i totani e per le altre barche. Nella calma del porto, ormeggiata al molo verde, la Rosetta (degli Agusta) ogni sera offriva il cinema ai ragazzi.

Intanto, in terraferma:
la Ditta Pellegrini e Rum mi rifa il controsoffitto di una stanza; ecco il Bar Monti: alla sera tutti lì a vedere la TV; c’è anche il bigliardo dove facevo lunghe partite a boccette con Lucio e Toni; c’è il telefono (pubblico) sempre sequestrato da Luciano Ancillotto, per trattare in Borsa; da dietro il bar Pierina esce il profumo del pesce cucinato da Emanuele, con l’amico Ginetto sempre vicino; nell’Emporio di Livia le merci sono accatastate in perfetto disordine; Preziosa riempie di sé il balconcino del primo piano; lo chansonnier Ruggero alterna spaghetti alla baronessa e mandolino; le Tabaccose fanno una macchia nera nella piazzetta degli spaventi; davanti c’è la casa di Inzara e Francesco; Titta si divide fra pianola, pennelli, dentiere e sciacquoni: Giorgio Rum è sindaco.

E ancora, Briscola, Costantino, Cardellino, Milano, Simone e il pesce fresco, Ottavio e la corriera, Renato il cavaliere sempre elegante, Eliseo e la storia delle panche di granito tirate su all’acqua del Prete; quanta gente bella al Giglio di allora.

E don Andrea morto proprio sul traghetto, e don Albano; e il maresciallone Fanelli terrore dei birbanti, e il il dottor Castagnaro, partito per un convegno galante (cravatta e mazzo di fiori) e non più tornato. Victor dopo i fasti di Londra, alle Cannelle allestisce pranzi da favola.

E infine quelli venuti da fuori, tanti:
Lollò Gaetani Lovatelli d’Aragona, i fratelli Santamaria, Ernesto ed Enrico, Carlo Saratti, i baffoni bianchi di uno dei Brunori, Antonino e Novella Zecchi, l’avvocato Lodovici, Marò cioè Rodolfo Betti; Emilio Pericoli dalla voce soave, e così via; tutti qualcosa al Giglio hanno dato, e tutti altrettanto hanno preso: un elenco che andrebbe fatto, a futura memoria, come si dice.

Arriva infine la grande svolta con l’Isola del Giglio, nave alta lunga larga che entra nel porto e fa sembrare piccole le case e apre la sua enorme bocca quasi a voler addentare una fetta di isola e scarica ogni volta, dal ventre scuro, processioni di auto e intere popolazioni; segue la Giuseppe Rum (Beppe, per noi) simile per dimensioni e capienza.

Domani in luogo del neo pensionato, verrà un altro traghetto, forse ancora più lungo, largo, alto, accessoriato, famelico.

E’ il progresso, la globalizzazione, il trionfo della massa, è giusto così. Però rimpiango l’Aegilium che se ne va, ci ha dato molto, ed era moderno quanto basta.

Questo è ciò che mi resta nella memoria (ripeto, un po’ ossidata); sta a voi, che ne sapete di più, continuare nell’omaggio ai 33 anni della nave  che se ne va, come ha fatto Massimo Bancalà con la lista dei tanti che sull’Aegilium hanno lavorato.

B.B.