Leggendo gli articoli di Sibilot ho trovato molto interessante l’argomento riguardante il Panficato, trattandosi di un prodotto tipico facente parte, insieme ad altri, della tradizione isolana.
Innanzi tutto  i commercianti, sia che vendano ombra o prodotti alimentari (del porto come del castello) offrono servizi e rapporti la cui qualità può dare maggior valore al turismo quindi, più che attaccare queste classi, sarebbero più proficuo richiedere all’Amministrazione Comunale precisi parametri di qualità, almeno nelle aree pubbliche.
Riguardo ai prodotti tipici questa è la mia personale visione:
Il commerciante è tenuto ad elaborare strategie che mirano ad offrire il suo prodotto usando iniziativa e fantasia, possibilmente nel rispetto di regole. E proprio nelle regole sta il punto.
Forse Sibilot conosce qualche disciplinare o regolamentazione sull’elaborazione dei prodotti di tradizione isolana (che in genere è l’Amministrazione  Comunale a promuovere nell’interesse della comunità) per salvaguardare la storia del territorio.
Il “panficato” per esempio: i fichi sono un frutto comune in tutto il Mediterraneo e dozzine di ricette simili tra loro sono diffuse in molte località costiere. Il “panficato gigliese” si distingue grazie a ingredienti coltivati  in un terreno e in un clima particolari (quello isolano) che conferiscono al prodotto  profumi e sapori unici e che, elaborati con esperienze secolari, ne conferiscono una “tipicità” rispetto ad altre aree. Quindi il segreto non sta solo nell’elaborazione, ma nell’usare prodotti del territorio.
Da questo presupposto si lasci poi piena libertà al commerciante nell’elaborarne la ricetta che, come la tradizione castellana insegna, non è mai stata canonizzata in dosi ma è sempre rimasta a discrezione dei gusti.
Quindi si venda pure il prodotto Panficato proponendo la personale ricetta e materiali a propria scelta, ma non si utilizzi la dicitura Panficato del Giglio senza una garanzia che il prodotto venga  elaborato con frutti del territorio, nel rispetto della tradizione Settecentasca e della sua storia.
Infatti Il Panficato dell’Isola del Giglio è cinque volte più interessante commercialmente che un prodotto con l’etichetta Panficato di Tizio o di Caio, per cui se un produttore vuole utilizzare il nome “Isola del Giglio” dovrà attenersi alla tradizione della comunità e dei prodotti locali.
Questi temi rivolti alla salvaguardia sono stati lungamente discussi a Terra Madre nel 2005  dal ex ministro Alemanno e dal presidente slow-food Carlo Petrini (in questa manifestazione c’era anche una rappresentanza dei produttori del Giglio). I punti discussi riguardavano la protezione delle  tipicità del territorio da speculazioni commerciali senza garanzia (tema affrontato da molte comunità già da anni) riqualificando numerosi prodotti insieme alla loro storia e facendo conoscere  tradizioni  e  territorio.
Leggendo l’articolo citato da Sibilot su Famiglia Cristiana ho notato che i giornalisti sono stati guidati dal sindaco stesso e dal presidente della pro-loco.
E mi chiedo come mai non è venuto in mente di sentire per il panficato i diretti depositari della tradizione, cioè gli anziani del castello.
Quindi non credo che si dovrebbe guardare con criticità tanto al commerciante quanto rimbrottare i nostri amministratori che per ora sembrano poco sensibili al ricco patrimonio eno-gastronomico lasciandolo al libero arbitrio dei commercianti il cui scopo generalmente è incrementare le vendite.
Cominciamo a “sibilare” articoli che portino alla stesura di regole verso il rispetto delle tradizioni dell’Isola del Giglio cosicché non ci si ponga il problema se un commerciante è castellano o portolano, ma ognuno diverrà portatore  di una cultura  che ha visto asciugare i “neruccioli” sulle coti, seccarli negli appositi forni e impastarli nella vinella.
Naturalmente questo vale per tutti i prodotti del mare e della terra  che siano affiancati dal nome Isola del Giglio.
Una ultima cosa.
Si legge in alcuni cartelli di esercizi commerciali: l’ente parco arcipelago toscano riconosce il panficato di… mi piacerebbe sapere su quale base o studio o ricerca l’ente parco garantisce questo prodotto isolano. Forse non sono a  conoscenza di qualche progetto per incentivare la coltivazione dei fichi od il ripristino dei forni dove si seccavano o l’incentivo a coltivare la pesca sanguigna.
Mi pare che con questo “riconoscimento” l’ente vada a favorire singola attività commerciale a danno di altre.
Con questi articoli si può far notare un problema, si può mettere una pulce nell’orecchio, ma poi tocca al sindaco chiedere ragione di tale comportamento all’ente parco e successivamente spiegarlo a tutti i produttori di panficato ed ai legittimi custodi della tradizione: I Castellani .
E riguardo il panficato fatto d’estate non lo trovo disonorevole. Steso un disciplinare che faccia chiarezza sulla provenienza dei prodotti usati e lo inserisca nella tradizione natalizia isolana,  credo che produttori e venditori possano valorizzarlo anche d’estate (periodo in cui più persone vengono a contatto con la realtà dalla nostra isola) e magari farci buoni affari.
E posso assicurarti, caro Sibilot, che servito in certe maniere anche d’estate è veramente una squisitezza!!!

Claudio Bossini