Si trasmette l’allegato brano tratto dal volume “Un’isola da amare” (Premio Letterario “Castiglioncello-Costa degli Etruschi 2004) scritto dal professor Folco Giusti, docente di Scienze Ambientali dell’Università di Siena, sul problema della presenza di mufloni selvatici nell’isola di Capraia:

Sempre per scopi venatori, il muflone è stato introdotto anche a Capraia a cura dell’Ufficio Caccia della Provincia di Livorno, circa una ventina di anni fa. La caccia al muflone, tuttavia, non è mai stata, almeno ufficialmente, esercitata in Capraia .Il divieto che doveva consentire ai pochi, iniziali mufloni di moltiplicarsi e di diffondersi nell’isola non è mai stato abrogato. Ciò nonostante il muflone in Capraia non ha avuto, per lunghi anni,molta fortuna. L’ambiente isolano estremamente povero e quasi certamente un po’ di bracconaggio hanno reso lentissima la crescita del branco. Per anni non è stato possibile vedere che rari gruppi di 4-5 esemplari, ma, dopo la chiusura dell’Istituto Penitenziario (1986), c’è stato un piccolo boom demografico. Non più disturbata (e non più cacciata?), la popolazione ha preso possesso dei terreni lasciati liberi dalle greggi del carcere ed è aumentata di numero, raggiungendo oggi, secondo le dichiarazioni di alcuni Capraiesi, la consistenza di 50-100 capi. L’inevitabile, rapido immacchiamento della “montagna”, seguito dall’abbandono di ogni pratica agricola, ha tuttavia, riproposto per i mufloni il problema del cibo, un problema ancora più impellente, dato l’incremento del branco.
E così, i mufloni, in gruppi più o meno numerosi, hanno preso sempre più spesso a frequentare i margini della zona abitata, dove la macchia è meno povera e dove, soprattutto d’estate, è possibile trovare un po’ di vegetali freschi e ricchi di acqua, se non altro nei rari coltivi, negli orti e nei giardini .Ma, a parte il danno, la presenza del muflone in Capraia è, in termini scientifici, un assurdo. Il muflone non è originario dell’Arcipelago Toscano e, quindi, la sua immissione nell’isola, fatta in totale assenza di qualsiasi criterio scientifico, rappresenta un attentato all’integrità dell’ambiente isolano,  non solo in termini di “purezza” della sua fauna autoctona, ma anche in termini di salvaguardia del suo patrimonio flogistico:un patrimonio flogistico che ha valore non solo in quanto tale, ma anche in quanto componente fondamentale dell’ecosistema e indispensabile supporto per le molte specie animali che su esso basano la loro sopravvivenza sull’isola.
Chi conosce l’attuale povertà e l’estrema uniformità della vegetazione di Montecristo, da secoli sottoposta alla pressione della sovrabbondante popolazione di capre selvatiche, sa bene i rischi ai quali l’ambiente naturale della Capraia potrà andare incontro se il “problema muflone” non verrà affrontato e risolto al più presto.
E l’istituzione del Parco Naturale dell’Arcipelago Toscano, includente la gran parte di Capraia, lo impone in maniera assoluta. Tra i compiti del Parco, infatti, c’è anche quello di correggere, quando possibile, gli errori fatti in un passato più o meno recente. Il muflone è senz’altro uno degli errori che è possibile eliminare. La sua totale eradicazione dall’isola, quindi, è atto dovuto e oltretutto necessario.
Non si scandalizzino gli animalisti. Eradicazione significa, almeno per me, solamente cattura e trasferimento altrove degli esemplari presenti sull’isola: un intervento che, allo stato attuale di densità della popolazione, non presenta eccessive difficoltà e che è opportuno venga attuato al più presto, prima che l’incremento ulteriore dei capi ne renda ardua l’attuazione e/o che a qualcuno, troppo spesso “offeso nei propri orti e giardini”, spunti l’idea di farsi giustizia da solo in termini più violenti e definitivi.

Anche all’isola del Giglio, un branco di mufloni fuggiti dalla riserva del Franco ed ormai inselvatichiti, dopo aver provocato ingenti danni in tempo di vendemmia, continuano a pascolare nei pochi coltivi degli ultimi contadini rimasti. I mufloni sono (come i conigli selvatici) estranei alla natura del Giglio.
Oltre ai danni alle coltivazioni potrebbero anche costituire un serio pericolo per la pubblica incolumità, perché, se malauguratamente dovessero attraversare la strada carrozzabile del Corvo, potrebbero far fare ai malcapitati automobilisti degli spettacolari, quanto drammatici, fuoristrada.
L’Amministrazione Comunale ha rappresentato il problema ai competenti Uffici della Provincia che si sono rivolti, a loro volta, all’Ente Parco; ma nessun provvedimento concreto è stato a tutt’oggi adottato.

Per il Circolo Culturale Gigliese
Il Presidente Dr. Armando Schiaffino