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A proposito delle polemiche sul progetto "Let’s go Giglio"

Come ho avuto modo di evidenziare anni fa, Napoleone, all’atto di insediarsi nel suo breve regno elbano, inviò una guarnigione all’isola di Pianosa per prenderne possesso, dando, tra gli altri ordini, quello di uccidere tutte le capre ivi presenti (vedi F. Giusti, 1999, “Napoleone? Un ambientalista doc”. In: “L’isola”, no. 40, anno 13, pag. 17; vedi allegato). Di certo Napoleone non odiava le capre e di certo non voleva eliminarle “a caso”. Sapeva bene, grazie agli scienziati che lo accompagnavano nelle sue missioni, come già a quei tempi ci fosse l’evidenza dei drammatici danni che non solo le capre, ma gli ungulati in genere, arrecavano all’ambiente naturale delle piccole isole.

Fa meraviglia come oggi ci sia ancora qualcuno che si definisce esperto di faune insulari pronto a negare questa evidenza, evidenza messa in luce da moltissime ben documentate (!) ricerche condotte fino ai nostri tempi su isole di tutti i mari del mondo, sui risultati delle quali è concorde l’intera comunità scientifica internazionale.

E fa meraviglia quando questo qualcuno accusa altri di non basarsi su precisi dati scientifici, ma poi non si preoccupa di dichiarare, senza uno straccio di ricerca sul territorio, che al Giglio “i mufloni si sono da tempo integrati nell’ambiente naturale isolano”.

E fa specie quando qualcuno che si definisce anche zoologo, non ha ancora appreso che il muflone non appartiene a una specie a sé stante, Ovis orientalis (o Ovis musimon), ma che rappresenta nient’altro che una semplice forma ferale (cioè rinselvatichita) della comune pecora domestica alla quale, quindi, non compete altro nome che quello di Ovis aries Linnaeus, 1758. Pecora rinselvatichita nel complesso Sardo-Corso, dopo che l’uomo neolitico, lì l’aveva importata e che lì, sfuggendo all’uomo, si era diffusa negli ambienti naturali, riacquistando nel tempo il suo aspetto originario.

Se su alcuni punti del progetto “Let’s go Giglio” riconosco si possano manifestare alcune perplessità, di certo non si può criticare il suddetto progetto e le affermazioni del Presidente del Parco, Giampiero Sammuri, per quanto riguarda il muflone.

Per completa chiarezza, elencherò qui di seguito i motivi che mi portano a questa affermazione.

  1. come ho detto, il muflone, non è originario nelle isole dell’Arcipelago toscano: è stato introdotto all’Elba, al Giglio e alla Capraia, per motivi prettamente venatori, in anni non troppo lontani, senza alcun preventivo studio che di ciò verificasse l’opportunità. Rappresenta, quindi, un caso evidente di inquinamento faunistico, inquinamento che i Parchi Naturali per loro preciso dovere istituzionale sono chiamati ad eliminare. Il muflone, poi, come semplice varietà della pecora domestica non è soggetto degno di particolare salvaguardia. Tra l’altro, gode di ottima salute in Sardegna e Corsica e in molte altre aree del globo dove è stato introdotto per scopi sempre solo venatori.
  2. Come tutti gli ungulati, il muflone è altamente impattante sulla vegetazione delle piccole isole, innescando con ciò un processo di degrado ambientale che, a cascata, mette a rischio altre ben più importanti componenti della fauna endemica, minando irreversibilmente la biodiversità del luogo.

  3. Come si è reso evidente alla Capraia, con l’adattamento alla presenza dell’uomo che gli ha consentito di frequentare senza timore le zone ad immediato ridosso dell’abitato e spesso lo stesso abitato, il muflone si è reso colpevole, ancorché involontario, di numerosi casi di infestazione da zecche potenzialmente patogene, riguardanti sia gli abitanti, sia i turisti frequentatori dell’isola.

  4. La presenza del muflone nelle isole il territorio delle quali è incluso in un Parco Naturale, è diseducativa. Richiamare su di esso l’attenzione dei visitatori e degli studenti in gita didattica, è propagandare un messaggio di Parco come giardino zoologico. È un modo per dare, almeno indirettamente, una legittimità agli interventi alteranti dell’uomo e alle tante immissioni faunistiche ancor oggi spesso attuate in disprezzo dei corretti criteri di gestione degli ambienti naturali e della fauna.

  5. Non affrontare la soluzione del problema muflone (come quello del cinghiale all’Elba), infine, non è solo compiere una grave omissione nei confronti del dovere di garantire l’integrità dell’ambiente naturale isolano, ma è un modo anche per mantenere vivo un pericoloso contenzioso tra gli isolani (offesi nelle loro colture e nella loro salute) e il Parco, contenzioso che rende problematica la normalizzazione dei rapporti tra i due. Finché i Parchi saranno visti come difensori “ottusi” degli interessi di qualsiasi specie animale, anche di quelle non autoctone e non interessate da provvedimenti di tutela, non si potrà favorire la normalizzazione dei rapporti e non si potrà propagandare positivamente l’opportunità della istituzione di altre aree naturali protette.

In conclusione, con quanto sopra, non è possibile non convenire con le posizioni assunte dal Presidente del Parco, Giampiero Sammuri. Per di più, sento il dovere di complimentarmi con lui per il coraggio con il quale, ben sapendo di andare incontro alle critiche da parte di un certo ambientalismo e animalismo irrazionale, ha saputo prendere e mantenere le sue posizioni e difendere una verità scientificamente dimostrata.

Folco Giusti
Professore Ordinario di Zoologia, Università di Siena (a riposo)
Membro a suo tempo della Commissione Fauna dell’Unione Zoologica Italiana
Membro a suo tempo del Comitato Scientifico per la Fauna d’Italia
Membro nel quinquennio 1992-1997 della Consulta Tecnica per le Aree Naturali Protette del Ministero dell’Ambiente e primo relatore del progetto per il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.
(questi titoli non come un vanto, ma come evidenza di una qualche legittimità ad intervenire in materia)