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Infermieri di famiglia direttamente a casa: anche in provincia il nuovo modello assistenziale

Gli infermieri di famiglia direttamente a casa. Anche a Grosseto avviato questo nuovo modello assistenziale

Ecco come si svolge ogni giorno il loro lavoro. Attenzione ai pazienti e alle famiglie, così l’infermiere diventa un punto di riferimento per le comunità.

Sono oltre 330 gli infermieri che dal primo settembre assistono a casa i pazienti in tutta la Asl Toscana sud est con il servizio di infermiere di famiglia e comunità. Professionisti che sette giorni su sette seguono le persone direttamente tra le mura domestiche. “Con questa nuova organizzazione – sottolinea Tania Barbi responsabile dell’Area infermieristica di Grosseto – si rinforza il modo di fare assistenza sanitaria fuori dalle sedi ospedaliere. Possiamo garantire l’assistenza domiciliare integrata, e quindi multidisciplinare, o quella infermieristica domiciliare legata ad una singola prestazione ma sempre nell'ottica di una personalizzazione che vada oltre il bisogno espresso o manifesto. Una metodologia che rafforza e evolve un modello che nella nostra provincia sperimentiamo già da anni con l’infermiere di riferimento che si attivava in base a precise esigenze di cura e che seguiva la persona e la sua famiglia in modo univoco. Da oggi l’infermiere diventa un punto di riferimento per intere comunità portando avanti anche una proficua collaborazione con medici di medicina generale e pediatri di libera scelta”.

“Questo progetto è il frutto di un documento unico che mette insieme tutti coloro che vanno ad assistere i pazienti a casa per creare una maggiore integrazione”, aggiunge il dottor Renato Fortunato Tulino direttore del Dipartimento di Medicina generale dell’Asl Toscana Sud Est. “In questo modo si crea un nuovo rapporto di collaborazione che porterà vantaggi soprattutto per i pazienti più complessi. Questo grazie ad un team dove il medico di medicina generale coordina il lavoro degli infermieri di famiglia ma anche degli altri operatori sanitari come il medico delle cure palliative. Il progetto è ancora in fase di sviluppo e stiamo lavorando per inserire in questa squadra che opera sul territorio anche gli assistenti sociali e gli operatori della riabilitazione. Un modello di assistenza domiciliare che avrà un ulteriore potenziamento quando sarà operativa la cartella clinica informatizzata che permetterà a tutti i professionisti impegnati sul campo di dialogare in tempo reale”.

“Quello che conta – spiega Michele Pacini, infermiere da 12 anni impegnato nell’assistenza domiciliare a Grosseto e con una lunga esperienza nella zona Amiatina – non è solo quello di seguire la persona da curare, ma creare un rapporto di collaborazione con i familiari, i caregiver che possono intervenire se si crea un piccolo problema o telefonare anche solo per chiedere un consiglio. Il nostro compito è quello di segnarli cose semplici ma fondamentali, e la nostra capacità di spiegare bene come possono intervenire è uno dei requisiti per far si che una assistenza domiciliare funzioni bene e quindi creare le premesse per portare avanti l’assistenza domiciliare nel miglior modo possibile. Qualche tempo fa – ricorda l’infermiere – avevamo in carico un bambino con una malattia cronica. Era essenziale spiegare ai genitori come somministrare la terapia, ma erano stranieri, non conoscevano la lingua ed erano analfabeti. Avevano davanti barriere linguistiche e culturali importanti ma siamo riusciti a superarle insieme ad un collega inserendo un codice colore ad ogni farmaco. Abbiamo creato un piccolo schema grafico e abbinato ad ogni colore un farmaco e l’orario di somministrazione. I colori erano stati riportati sulle scatole delle medicine con dei cartoncini e quindi abbiamo spiegato alla madre come effettuare la somministrazione seguendo la sequenza dei colori. Questo metodo ha funzionato e in breve tempo i genitori sono stati in grado di gestire la terapia da soli tanto che siamo passati da una visita quotidiana ad una settimanale. E cosa più importante, il bambino è stato bene. Per noi è stata la soddisfazione più grande”.

“L’aspetto positivo di questo lavoro – aggiunge Giuseppe Mastrogiacomo, infermiere domiciliare da due anni – è quello di curare gli assistiti nel loro ambiente familiare, e questo aiuta molto il percorso di cura. Inoltre si riesce a creare un rapporto di fiducia, un punto di riferimento con il paziente e anche con la famiglia, un fatto che negli ospedali è più complicato a causa delle turnazioni. Posso ricordare il caso di una persona affetta da una patologia neoplastica – continua nel suo racconto l’infermiere - e che veniva curata a casa. Purtroppo per le complicazioni della malattia e per le terapie contro il dolore, era sempre allettata e quindi incapace di muoversi. Collaborando con il medico di famiglia siamo riusciti con il tempo a ripristinare in questa persona un buon grado di mobilità tanto da farla tornare autonoma nelle sue attività di vita quotidiana. Un successo dovuto non solo al lavoro infermieristico ma anche al team multidisciplinare e che si poteva raggiungere solo nell’ambiente domestico. Questo dimostra il valore di percorsi assistenziali dove ogni caso viene preso in carico per la sua unicità”, ha concluso.

Ma cosa ne pensano i pazienti? Ci racconta Debora, una donna residente in provincia di Grosseto che di recente è stata sottoposta ad un trapianto.“Sono stata seguita alternativamente da due infermieri per tutto il percorso terapeutico. Sono sempre stati disponibili, direi indispensabili, in particolare quando ne avevo più necessità, nel lungo periodo prima dell’intervento dove ero costretta a casa sempre a letto. In quel momento avere qualcuno su cui fare affidamento è stato davvero importante e mi ha permesso di superare meglio la malattia”.