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I mufloni gigliesi
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I MUFLONI GIGLIESI

C’è sull’isola, un figlio del Giglio appassionato di fotografia; l’appassionato si chiama Piero Landini. Da anni Piero, propone sui social immagini stupende di scorci particolari; tramonti, albe, temporali e burrasche visti con l’occhio e la luce di un obiettivo sempre curioso e attento. Piero cerca i suoi scatti in giro per l’isola. Il nostro amico ha aperto un sito on-line dove offre a tutti la visione delle bellezze nascoste e anche la sua bravura; pubblica su Facebook e proprio su questo social ha condiviso interessanti foto e un breve filmato riguardante una famigliola di mufloni.

Una meraviglia insolita dall’impatto emozionante vedere questi animali brucare l’erba e toccare con le robuste corna ritorte, la bassa vegetazione. Inseriti perfettamente nell’ambiente, sembrava parlassero tra di loro ignari di essere soggetti di caccia. Destinati all’estinzione. Ne sono rimasta colpita e come me altra gente; a decine e decine se non centinaia hanno commentato esprimendo la piacevole sorpresa di quello scoop fotografico.

Un’emozione che chiama il tempo primordiale per quelle terre una volta aride e vuote vedervi la nascita, la crescita e la morte libera, privilegio che non abbiamo mai vissuto veramente per nessun animale perché i mufloni furono importati al Franco solo un bel po' di anni fa nella riserva di Baldacci, proprietario di queste terre di origine vulcanica. La presenza dei mufloni importati ma stanziati, ha dato forza alla terra che li ospita. E diventata loro. Ha dato valore alla natura circostante, prima silenziosa e vuota, le rocce, i lecci, le pietre calcaree sembrano parlare una lingua universale: avere altro scopo più nobile, che è quello di farsi osservare dall’uomo nella pace della natura e non nello sparo del fucile.

Un’isola dal destino amaro e sempre con azioni non legate all’ambiente ma al proprio uso e consumo dell’uomo. Consideriamo un altro ospite importato con allegria e furbizia ma oggi indesiderato e sino agli anni ’80 molto, molto apprezzato: il coniglio. Coniglio alla cacciatora; alla gigliese col ramerino…ma che aveva di gigliese tale bestiola importata per comodo negli anni ’30/40? NIENTE, eppure fu accettata perché serviva e non per arricchire l’ambiente faunistico da scoprire con sorpresa camminando per sentieri ameni. Il coniglio ha convissuto per anni in compagnia delle vigne in un equilibrio che solo il contadino sapeva gestire; dopo, finite le vigne, il povero coniglio: abbandonato al suo destino malato e eliminato.

Oggi ci sono i mufloni a mangiare le vigne. E perché lasciare che sia la caccia a finire la presenza sull’isola dei mufloni? Uno sport che il tempo, quello della vita, nega da anni. Sarebbe meglio portarli, come fecero all’inizio gli autori inserendoli, in altre riserve, altri lidi. Lo so che i mufloni possono entrare nelle vigne, brucare, rovinando la fatica dei vignaioli e la preziosità del prodotto - ansonaco - ma so anche che non c’è volontà di aggiustamento e di convivenza. I mufloni non sono autoctoni. Non so’ di razza e vanno eliminati. Come gli splendidi colori dei fichi degli ottentotti sugli scogli. Eppure, sapere che alla sera, quando tutto si acquieta, tra i lecci e le pietre calcaree del Franco, respiri selvatici si confondono ai nostri, fa sentire una conferma di ciò che eravamo; com’era l’isola al tempo delle capre. Quasi una protezione contro le troppe modernità che avanzano con esigente ragionevole arroganza.

In fondo, dovrebbero essere presi in considerazione anche i pensieri delle persone come me che si emozionano guardando una foto in bianco e nero perché in quella emozione, l’occhio benevolo rivolto al passato conserva proprio il futuro.

Palma Silvestri foto di Piero Landini, che ringrazio di cuore