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Tarcisio, simbolo e passione
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Tarcisio, simbolo e passione

E’ soltanto poco più di un anno che ci ha lasciati il “PADRE DEL PALIO” Costanzo Basini e subito appresso, forse vogando in un mare lontano, l’ha raggiunto un altro gigante della nostra tradizione più bella.

Due simboli, due giganti del palio marinaro nostro, da imitare per sempre.

Se per Costanzo usai il termine “PADRE DEL PALIO,” Tarcisio Solari, senza ombra di dubbio è stato il “IL FRATELLO DEL PALIO”. Una famiglia orfana ormai quella del mondo remiero gigliese di quei due giganti, e dove i pochissimi altri figli rimasti cercano con la forza della passione di non far morire la corsa delle barchette.

Nei miei ricordi riaffiora spesso il mio primo palio vinto nel lontano 1976 ... dove, proprio Tarcisio mi volle su quel MOLETTO giovanissimo e scarno, rimasto nel cuore di molti perché vinse diverse gare contro ciurme più “mature” e forti.

In questo lungo arco di tempo (quasi 50 anni entrambi nell’ambito remiero gigliese), spesso mi sono scontrato con lui come due galli in un pollaio, dove il pollaio era e rimaneva IL NOSTRO PALIO. Discussioni riguardanti la regata, che degeneravano a causa dei nostri caratteri molto simili essendo parenti (biscugini), appartenenti ad una stirpe molto focosa e orgogliosa (i Pizzicati).

Tarcisio difendeva a spada tratta la vecchia tradizione della voga gigliese, molto simile a quella dei pescatori (dove la forza fisica era principalmente usata a scapito della tecnica). Mi trovava molto contrario al suo pensiero (dove invece altri come Basini Costanzo e Alvaro Andolfi, avendo vissuto la città di Livorno per motivi di lavoro e avendo appreso dai canottieri labronici nuove tecniche di voga) cercavo (insieme con Costanzo e Alvaro) di portare quella tecnica di voga nella nostra umile scuola gigliese. Col tempo anche Tarcisio capì che i nostri sforzi erano interamente rivolti a migliorare e insegnare alle nuove leve una voga alternativa, diversa, più appropriata con l’arrivo sull’isola delle nuove barche in vetroresina. Quest'ultime si presentavano molto più leggere delle “VECCHIE GLORIOSE” lance di legno, dove la tecnica era più importante della forza.

TARCISIO CAPIVA MOLTO DI VOGA.

Le prime lontane nozioni e i movimenti primitivi di questo nobile sport (uno tra i più faticosi di tutto lo sport in generale) li ho appresi proprio da lui. In seguito, negli anni, perfezionai la mia tecnica di voga apprendendo dai maestri canottieri labronici.

Già in quel lontano 1976 costui parlava di “FORZA NEL CENTRO” (voleva farci capire che i vogatori dotati di maggior forza fisica dovevano posizionarsi sulla seconda e terza panca di voga). Accorgimenti non banali, che sentii ripetere nei luoghi di allenamento del canottaggio livornese. Tarcisio era rimasto orgogliosamente legato all’antica voga dei pescatori gigliesi che tanto lo aveva fatto vincere nel tempo, ma con l’avvento delle nuove barche simili a canoe (che mai amò) si adeguò al cambiamento di pensiero poiché tanto era l’amore e la passione per la nostra tradizione più bella di cui egli quasi si nutriva.

In seguito disputò diverse gare sulle nuove barche insegnando alle nuove generazioni a soffrire sul remo; spesso scendendo in mare con ciurme giovanissime, a dimostrazione che era PIU’ IMPORTANTE insegnare e trasmettere IL PALIO anziché vincerlo.

Abbiamo perso con Tarcisio una persona sincera, diretta, capace di dire in faccia a chiunque i suoi pensieri, le sue idee (specialmente parlando della regata) e le sue parole dirette arrivavano dritte fino al mare come un fiume in piena. Apprezzavo molto questo suo modo di essere poiché anche io in quel comportamento mi rispecchio spesso.

Abbiamo perso con Tarcisio e Costanzo i due più FULGIDI ESEMPI di passione e amore verso la nostra centenaria tradizione portolana più bella.

Entrambi molto diversi, per concetti, idee e caratteri, ma MOLTO SIMILI nel MITICO giorno del Santo patrono, quando l’odore del sego, il nodo degli strofoli, il sincronismo delle pale che squarciava il nostro UNICO IMPAREGGIABILE MARE, li univa, in simbiosi con tutto ciò.

In questo momento sto scrivendo commosso, molto commosso, e mi sembra di vederli al timone, prua contro prua che chiedono il “serra” sul traverso dell’isoletta a tutti noi gigliesi urlando e chiedendo di “SENTIRE” quello che loro due c’hanno sempre fatto “SENTIRE” ...

Tonino il Barbottone
Terzo remo del TUO glorioso moletto.

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