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Le mugnache del Vernaccio

Le mugnache del Vernaccio

Una voce maschile mi chiama dal fondo delle scale:
Oh Pa’, le voi du’ mugnache?
Vittorio mi sorride dal basso.
Non faccio in tempo a stupirmi perché va via subito: “so’ tutto sudato e poi c’ho da fa’, ma questo piccolo omaggio dice grazie per l’articolo - Scene da un matrimonio - che pubblicasti su giglionews, dov’erano protagonisti i miei genitori.”

Resto emozionata a riflettere sull’uscio di casa, mentre mi ritrovo con le braccia colme di quei meravigliosi frutti dal colore del sole, che il mio parente, aveva colto nel suo orto del Vernaccio.

In casa mia, da anni non ci sono più contadini o lavoranti della vigna.
Le terre di famiglia, piccoli appezzamenti sparsi un po’ qua e là, fanno parte ormai, dello scenario paesaggistico dell’isola, con la fioritura in primavera, della macchia mediterranea là domiciliata.

Gli ultimi aromi, che entravano nelle nostre pareti domestiche, erano quelli dell’orto; ogni mattina, nella fresca luce dell’alba, zio Raffello si alzava in silenzio e come un soffio, per non disturbare il nostro sonno, sorseggiava il caffellatte preparato da mia madre la sera prima, e sempre in silenzio, apriva e chiudeva l’uscio di casa per raggiungere con la sua ape, la terra delle Grotte.

Là, avevamo un grande pozzo privo di vena sotterranea che si riempiva con le piogge e quindi, sempre asciutto nel pieno dell’ estate, ma Raffello riusciva in quel lasso di tempo, a far crescere ciò che ogni fine inverno iniziava con tanta premura: prima la semenza nella porga, da trapiantare, una volta spuntati i germogli, nei solchi, oppure costruiva le andane, cumuli di terra che tagliavano la posta in più parti; su questo terreno bombato, che annettava periodicamente col marroncello, vi piantava i pisellini.

Tante volte, da piccola, mi portavano all’orto con il compito di annettare i pisellini: usavo il marroncello come fosse un giocattolo, convinta che quel piccolo strumento, lo avessero inventato i grandi per tenere - a bada - i figlioli, che per necessità si portavano dietro.
Per me era un gioco molto ambito.

Al tempo giusto, ogni giorno, prima del tocco, zio, arrivava con il paniere carico di prodotti, poi, con le grosse mani esperte, li spargeva sul tavolo di cucina per scrollare forbicine, pizzicarole e formiche, gli insetti rimasti prigionieri durante la raccolta, soprattutto dei carciofi.

Il basilico, il sedano, il perzemolo, i pomodori, le melangiane e la rucola, inondavano la stanza di fresco profumo acquoso e mettevano allegria i colori, le forme, presentate dagli ortaggi come in una tavolozza creata dalla natura.

Un vecchio detto sentenzia: l’orto vuole l’omo morto; forse è vero, e il vero perché, lo sa solo l’omo, ma gli occhi di zi’ Raffello, mentre poggiava il grosso cesto di verdure sulle scale di casa, erano vivi e ricchi di soddisfazione, proprio come ho visto oggi, nel guizzo di Vittorio mentre mi donava la preziosa frutta.

Grazie alle mugnache del Vernaccio, profumate oltre l’immaginabile, riappare viva alla mia memoria, un’atmosfera natia e familiare, dove c’eravamo tutti con la nostra ondata di vita, ognuno col suo carico di impegno, di attese e di buonumore.

Recuperare, anche per pochi momenti, la scena di quei diversi giorni isolani, fa splendere di gioiosa ricordanza la giornata che mi si presenta.

Palma Silvestri

p.s.: Nota sulla probabile origine della parola - mugnaca -

“Mi sono sempre chiesto perché l'albicocca richiamasse quell'albus latino, pur essendo gialla e perché in dialetto si chiamasse "mugnèga", con conseguente parola italo-bolognese "mugnaca"! Adesso credo di saperlo, anche se, lo ripeto, in fatto di etimologia occorre andar cauti, specie se non si hanno solide basi di studi.
Albicocca non ha nulla a che vedere con "bianco", poiché viene dall'arabo al-barquq attraverso lo spagnolo albercoque! Da notare come quasi tutte le parole in "al" siano di origine araba e come molte parole si trasmettano da una lingua all'altra, seguendo le vicende della Storia! Il nome latino di questo frutto originario dell'Armenia, era prunus armeniaca, ed è probabile perciò che questa "armeniaca" sia la…nonna di "mugnèga-mugnaca"! Così come la pesca, originaria della Persia, era prunus persica, chiamata in italiano persica e in bolognese pérsga, per poi diventare finalmente "pesca" e "pésga": trasformazioni della lingua e del dialetto, ma non di precedenti toponimi, come quel San Giovanni in Persiceto (Bo) che resta immutato nel tempo.”
(Paolo Canè - da il Bolognese del 18/06/07)

Glossario

Melangiana: melanzana
Perzemolo: prezzemolo
Porga: piccolo andito dove vengono messe le semenze da far germogliare.
Solco: incavo stretto e allungato, prodotto nel terreno con la zappa (in questo caso da chi cura l’orto), in cui vengono messi a dimora i germogli.
Andana: striscia di terreno a cumulo, utile per la coltivazione dei legumi…ceci; pisellini.
Posta: spiazzo di terreno quasi sempre rettangolare in cui si svolgono le operazioni dell’orto o della vigna.
Marroncello: strumento simile alla marra, ma molto più piccolo, utile per zappettare l’andana.

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